Una sera a teatro: L’anima buona del Sezuan

Debutto al Teatro Sociale di Brescia per questa rilettura di un’opera di Bertold Brecht che apre anche la stagione di prosa 2018/2019.

Inizio subito col dire che lo spettacolo non mi ha convinto appieno. Non perché si tratti di una rielaborazione di un classico – mi interessa, infatti, sempre uno sguardo nuovo con cui confrontarmi – quanto piuttosto per alcune scelte di elaborazione drammaturgica che mi hanno lasciato perplessa.
L’inserimento degli elementi della commedia dell’arte mi è parso a tratti forzato, innaturale, soprattutto per quanto riguarda alcuni personaggi, che sono stati caricati di accenti al limite del grottesco, strappando forse un sorriso in più al pubblico, ma stemperando eccessivamente l’amarezza di fondo della fiaba narrata da Brecht in cui solo con un completo, e doloroso sdoppiamento, si riesce a salvare un po’ di bontà in una realtà che, ai tempi del racconto, così come in quelli dell’autore e ai nostri giorni, sembra voler soffocare ogni (nobile) sentimento.
Mi sono parsi eccessivi anche i toni quasi caricaturali in diversi passaggi e la gestualità esagerata di alcune delle protagoniste femminili (penso in particolare alla padrona di casa Mi Tzü e alla signora Yang), elementi di disturbo che nulla hanno aggiunto al dipanarsi di una storia già intrinsecamente didascalica. E proprio sul dipanarsi della storia, o meglio sul ritmo della rappresentazione scenica, credo si dovrebbe concentrare ancora il lavoro della compagnia, perché in particolare il primo tempo è disomogeneo, con scene dilatate a dismisura nel tempo che portano a un abbastanza naturale calo dell’attenzione. Ci sono spettacoli in cui tre ore sembrano volare, ma non è questo il caso, almeno per me.
L’ultima annotazione, su ciò che probabilmente ho capito e apprezzato di meno, riguarda l’inserimento di cadenze dialettali marcate (che ho visto definire come regionalismi) quasi a casaccio nel copione e che, soprattutto nel finale, smontano quel crescendo che nell’originale sfocia in un sentito appello al pubblico, forse all’intero genere umano, mentre in questa rilettura si diluisce in quella che appare più la conclusione di uno spettacolo di burattini.

“Nel nostro paese
Non dovrebbero esserci sere tristi
E nemmeno alti ponti sul fiume.
Anche all’ora tra la notte
e il mattino
E gli inverni tanto lunghi, sono pericolosi.
Giacché nella miseria
Basta un’inezia
Perché l’uomo si liberi dall’intollerabile vita.”

E siccome non dovrebbero davvero esserci sere tristi, vale sempre la pena andare a teatro, scoprire nuovi orizzonti, rivedere storie conosciute con occhi nuovi e da questo punto di vista la produzione del CTB Centro Teatrale Bresciano in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione offre sicuramente degli spunti interessanti, come l’uso delle maschere , che mi sembra possa essere una buona lettura dello “straniamento brechtiano”, come hanno sottolineato Elena Bucci e Marco Sgrosso nelle loro note di regia.
Ho analogamente apprezzato la scenografia minimalista, che si sposava perfettamente con l’uso delle luci, capace di trasformare gli spazi in livelli di lettura, in diverse prospettive, sottolineate a tratti dalla colonna sonora originale, così come di dettare un ritmo a livello visivo.

 

Piè di pagina
L’anima buona del Sezuan di Berthold Brecht
Traduzione di Roberto Menin
Progetto, elaborazione drammaturgica Elena Bucci, Marco Sgrosso
Dove: Teatro Sociale, Brescia
Quando: dal 23 ottobre al 4 novembre 2018
http://www.centroteatralebresciano.it/
L’opera originale in edizione Einaudi*, anche in versione per Kindle *

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