Appena rientrati da un viaggio in questa terra fantastica scrivevamo sul diario “Per catturare la Mongolia nella sua essenza bisogna spostarsi, non già seguendo un tragitto da un punto all’altro, ma piuttosto viaggiando e lasciandosi trasportare”.
Ecco, questo è lo spirito con cui abbiamo varcato la soglia di The Pool NYC, una galleria per noi assolutamente nuova, pronti a lasciarci sorprendere, a scoprire le direzioni in cui si muove l’arte in un Paese ricco di storia, di tradizioni, di cultura grazie alla prima mostra in Italia, curata da Maurizio Bortolotti, dedicata all’arte contemporanea della Mongolia.
Cinque artisti diversi per quello che si rivelerà un autentico ponte tra passato e futuro, a cavallo tra tradizione pittorica e contaminazioni.

All’interno, ci troviamo catapultati a Ulanbataar, una capitale ricca di contrasti, di cui Nomin Bold ci propone subito una visione critica, al contempo apocalittica e giocosa, con chiari accenni all’arte tessile tradizionale. Maschere a gas in cui i fili di lana colorati si mescolano con materiali di recupero, in quella miscela di “vecchio” e “nuovo” che caratterizza le opere in mostre e, come abbiamo avuto modo di sperimentare, la vita quotidiana in Mongolia.
E dopo l’inquinamento e la sostenibilità ambientale, gli aspetti sociali tornano prepotentemente nelle stampe all’albumina della serie “No Mad” di Esunge, che ci racconta il passaggio dalla vita nomade a quella stanziale, l’inurbamento che ha modificato la geografia del territorio, la struttura della società e i destini di molte famiglie.
Tuttavia proprio la scelta del tipo di stampa sembra smussare gli angoli, regalare dolcezza allo sguardo, creare quella sensazione, indescrivibile a parole, che penso tutti abbiano percepito sfogliando un vecchio album di fotografie.

Dopo essere entrati nelle gher in punta di piedi, nella sala successiva riconosciamo subito le linee dorate dei Thangka su sfondo vermiglio, ma avvicinandoci all’opera di Nomin Bold ci accorgiamo subito che la rappresentazione classica è interamente ripensata, attualizzata, all’insegna dell’elemento femminile, ma in cui come da tradizione, ogni piccolo dettaglio ha un significato profondo, perché questi “messaggi arrotolati” sono spesso considerati come una manifestazione del divino.

Il legame con la pittura tradizionale è ben visibile nella visione artistica di Dolgor Serod che ci accompagna in una Ulanbataar completamente diversa da quella vista sinora, con il suo mercato dai tratti quasi fiabeschi. Sotto gli occhi del pubblico l’artista costruisce un’epopea per immagini in cui, come scrivono i galleristi “la componente decorativa e quella narrativa trovano un equilibrio armonico nel nome della tradizione della pittura buddista”. Lasciamo che lo sguardo si perda in infiniti dettagli.

La capacità di raccontare storie per immagini è decisamente uno dei fil rouge del percorso realizzato in galleria. Con Baatarzorig Batjargal facciamo un salto in un passato epico, tra creature mitologiche, cavalieri e rappresentazioni simboliche di animali. Il mito del guerriero, quel Gengis Khan onnipresente, si sposa con l’iconografia Thangka, in una rilettura che coniuga mitologia e riferimenti alla Mongolia contemporanea e alla cultura pop, in un gioco di contaminazioni, in un contrasto, ancora una volta, tra realtà e immaginario.

E a proposito di contaminazioni arriviamo a Munkhjargal Munkhuu che spinge ancora più avanti la corrente di rinnovamento della pittura Thangka, inserendo nelle proprie opere evidenti richiami ai manga. Nel suo mix i temi dell’attualità si mescolano alle figure della tradizione buddista, ma il passato è decisamente in secondo piano. Politici, prodotti-icona, la progressiva americanizzazione della cultura si inseriscono in una composizione che ancora mantiene, richiama tratti tradizionali, in un contesto generale di rottura degli schemi.
Nelle opere di Munkhuu, specchio dell’epoca in cui viviamo e della moderna società mongola, oggetti, numeri e personaggi si accumulano letteralmente, appropriandosi degli spazi, rispecchiando il dinamismo e contemporaneamente quel senso di caos (sonoro, visivo, spaziale) che si prova percorrendo le strade della capitale, in netta opposizione rispetto al “nulla” che è una delle cifre di ogni spostamento al di fuori dei confini cittadini.

In conclusione consigliamo una visita da The Pool Nyc a tutti coloro che, come è successo a noi, vogliono ritrovare l’atmosfera di un viaggio in Mongolia e scoprire aspetti dell’arte in Asia decisamente non scontati, peculiari, sintesi e scontro tra tradizione e modernità, tra epica e quotidianità, tra passato e presente, tra oriente e occidente, unici, così come è unico il paese a cui è dedicata la mostra.
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Dove: The Pool NYC, Palazzo Fagnani, Via Santa Maria Fulcorina 20, Milano.
Quando: fino al 5 marzo 2022, dal martedì al sabato dalle ore 11 alle 13 e dalle 15 alle 19.
Come: ingresso libero.