Partendo da Bard decidiamo di raggiungere, con l’autobus della Savda, Châtillon e da lì di dirigerci a Castello Gamba, l’elegante dimora che ospita attualmente le collezioni regionali di arte moderna e contemporanea.
Dall’autostazione di Châtillon arrivare a piedi a destinazione richiede una passeggiata nel cuore della cittadina e poi una breve, ma abbastanza intensa, scarpinata in località Grande de Barme, ma le opere d’arte esposte e il giardino valgono tutta la fatica. Il percorso non è particolarmente ben segnalato, ma tenendo presente alcuni punti di riferimento (come il campo sportivo) si riesce a orientarsi.
Costruito tra il 1903 e il 1905, come una sorta di pegno d’amore, su un promontorio roccioso che offre una bella vista sul fondovalle, e acquisito dalla regione Valle d’Aosta nel 1982, dopo un attento restauro, il castello è stato trasformato in un bellissimo museo che su tre piani permette di muoversi dall’Ottocento alla contemporaneità. Pittura e scultura, fotografia e grafica, linguaggi artistici diversi per movimenti diversi, partendo da un’immagine della Valle d’Aosta di J.M. William Turner, tra i maggiori esponenti della pittura romantica, passando per gli artisti locali del secondo Novecento, per arrivare alla pop art, al nuovo espressionismo, all’astrattismo e alle esperienze neoconcettuali. Uno dei pregi della collezione è senz’altro quello di permettere di scoprire l’evoluzione artistica in chiave locale, ponendola in un rapporto dialogico con alcuni dei grandi maestri, come Casorati e Dalì, Fontana e Guttuso, Manzù e Paladino giusto per citarne alcuni. Interessante, sempre nell’ottica della connotazione locale, anche la nutrita selezione di opere di Italo Mus e Francesco Nex Il silenzio e l’assoluta solitudine in cui si è svolta la nostra visita hanno sicuramente aggiunto un tocco di magia in più, così come la presenza dei lavori raccolti nella mostra “I ritornanti”, dedicata all’elemento figurativo nella scultura, che si inseriva perfettamente nell’atmosfera quasi rarefatta delle sale.
Terminata la visita, ci concediamo una lunga pausa nel parco, tra prati e boschetti, rocce e vialetti, organizzato in una tipica struttura “all’inglese”. Faggi e pini, cedri e abeti, querce e ippocastani, e molte altre varietà regalano zone d’ombra dove riposare e ammirare altre opere d’arte e il castello da diverse angolazioni e non mancano neppure alcuni esemplari monumentali, come la sequoia gigante della California piantata nel 1905 e il cui tronco raggiunge un diametro di 217 centimetri.
* indirezionenoncausale partecipa a programmi affiliati. Per gli acquisti fatti tramite i link indicati potrei ricevere una piccola commissione percentuale che non incide sul prezzo pagato.
Quella che nei piani si preannunciava come giornata “tranquilla”, di decompressione, dedicata all’esplorazione dei dintorni di Bard, senza prendere mezzi pubblici, ma lasciandosi solo trasportare dai piedi, si è conclusa con il contapassi fermo a 12,8 chilometri percorsi e “45 piani saliti” e ci ha regalato una passeggiata magnifica, immersi nella natura, in assoluta solitudine.
La mattinata decidiamo di dedicarla al tratto terminale della valle dell’Ayasse, a monte di Hône, il paese che si trova di fronte a Bard a cui è collegato da un ponte in pietra sulla Dora. Di questo itinerario, una parte di quel sentiero degli orridi che si snoda fino a Pontboset, Champorcher e Fontainemore, avevamo visto alcune foto in rete e ci aveva subito affascinato. Le indicazioni da seguire sono quelle per le “Tre Goye di Hône”.
Attraversiamo quindi il ponte di buon mattino e ci dirigiamo verso il municipio e da lì lungo la strada che porta all’area camper (dove si trova anche uno degli hot spot per accedere a Internet) che ci lasceremo sulla destra, come il torrente, per imboccare la strada asfaltata in salita da seguire fino a quando non si raggiunge uno spiazzo erboso con il cartello segnavia. A questo punto si deve attraversare una passerella in metallo che porta sull’altra riva della forra, quasi come una porta su un altro mondo, più fresco e silenzioso, che ci fa sentire un po’ come degli autentici esploratori.
Il sentiero, che risale il torrente è percorribile in assoluta sicurezza, è classificato come T e presenta un dislivello di circa 95 metri, e permette di ammirare dall’alto gli orridi dell’Ayasse, le gole con le goye (vasche e pozze nella lingua locale) offrendo molteplici punti panoramici per scattare innumerevoli foto. I tratti più esposti della via sono tutti dotati di corrimano e sono state inserite delle staffe nella roccia per aiutare nei punti più impervi.
Sono stati anche posizionati dei cartelli che illustrano la flora e la fauna, nonché le caratteristiche morfologiche e geologiche delle tre goye scavate nella roccia del letto del torrente dal flusso dell’acqua, con tutto il corredo di canalette e cascatelle, denominate, dal basso verso l’alto, Goille de Valieta, Goille de la Teua (Teua equivale a “marmitta”, “roccia scavata”) e Goille dou Breh (il breh è la denominazione, nel patois di Hône, della culla).
Nel complesso una bellissima passeggiata, non particolarmente impegnativa. Noi, fermandoci spesso a godere del paesaggio e della pace assoluta, abbiamo impiegato circa 45 minuti per arrivare a destinazione e, dopo un cambio di obiettivo, altrettanti per ritornare al punto di partenza.
Per pranzo ci premiamo con una sosta al rinomato Bistrot Ad Gallias (cibo buono, ma servizio decisamente migliorabile) e dopo aver riempito la borraccia siamo pronti a una nuova avventura, alla ricerca delle vestigia romane nel territorio del Comune di Donnas. Anche in questo caso la passeggiata, che si snoda lungo tutta via Vittorio Emanuele II, è classificata come T. Al momento, a causa del rischio di frane si è costretti a percorrere una variante di cui va segnalata solo una ripida discesa – che al ritorno diventerà una altrettanto ripida salita – all’uscita del nucleo abitato di Bard. In ogni caso la fatica è breve e ben ripagata e già dimenticata quando si raggiunge l’ultima porzione rimasta della Via delle Gallie, la prima opera pubblica che i Romani realizzarono in Valle d’Aosta nel I secolo a.C., con il celeberrimo arco scavato nella roccia e l’antica pietra miliare che segna esattamente il XXXVI miglio di distanza da Aosta.
Il percorso a piedi è assolutamente sicuro visto che nel segmento che costeggia la statale SS 26 è stato realizzato un apposito camminamento e non presenta particolari difficoltà. Consigliamo di non fermarsi all’arco prima di ritornare sui propri passi lungo la Via Francigena, ma di proseguire con una breve passeggiata nel borgo medievale di Donnas, praticamente un paese fantasma ma non privo di fascino, con finestre del ‘500, portali in noce e affreschi.
La prima tappa del nostro viaggio, partendo da Aosta, è uno dei borghi più belli d’Italia, Étroubles che si raggiunge agevolmente dal capoluogo, in poco più di mezz’ora, con l’autobus che porta a Saint-Rhémy-En-Bosses che sì non è molto frequente, ma consente comunque di trascorrere una giornata visitando il centro abitato, il suo museo permanente a cielo aperto e i dintorni.
Il nostro consiglio è di scendere alla fermata Croix Blanche nei pressi dell’omonimo ristorante, perfetta per una breve sosta all’ufficio del turismo (verificare sempre il giorno di chiusura) per ritirare la mappa “A Étroubles, avant toi sont passée…” che indica la posizione di tutti i principali monumenti, di ristoranti e servizi e delle opere d’arte contemporanea che hanno fatto meritare al Comune numerosi premi e riconoscimenti. Mappa alla mano partiamo subito con l’esplorazione e, complici il silenzio e le ombre che ancora non sono state completamente spazzate via dal sole, sembra davvero di passeggiare nella storia. Percorrendo le strette vie dal sapore antico di questo borgo “tra natura e arte” ci si ferma ad ogni angolo, senza dimenticare di sollevare lo sguardo verso l’alto, lungo un percorso artistico, nato nel 2005, che si pone in una sorta di dialogo con lo spettacolare paesaggio alpino circostante. Basta salire sulla collinetta accanto al Municipio e girare lentamente su se stessi per restare ammaliati dal campanile romanico, risalente al 1400, e dai tradizionali tetti in lose che si stagliano contro lo sfondo della Valle del Gran San Bernardo. Grazie alla sua posizione, il paese è citato sin dai tempi dei romani ed è poi divenuto una tappa della via Francigena e tra le opere non mancano quelle che omaggiano uno dei cammini per eccellenza. Sul tema a noi sono piaciuti piaciuti particolarmente i lavori di Italo Bolano…
… e la delicata interpretazione di Chicco Margaroli che adorna l’edificio delle poste donandogli un aspetto quasi fiabesco.
In realtà, come nostra abitudine, iniziamo ben presto a lasciarci trasportare dai piedi, senza una meta precisa, affascinati da tutto ciò che ci circonda, dalle antiche case in pietra e dai fontanili, dai balconi in legno fioriti che collocano Étroubles di diritto tra i “borghi fioriti”.
Raggiungiamo la latteria turnaria, la prima della Valle d’Aosta (1853) che oggi ospita un museo dedicato alla lavorazione dei più famosi formaggi locali, per poi imboccare la strada tutta in salita che porta alla frazione di Vachéry con la famosa torre a pianta quadrata, edificata nel XII secolo probabilmente su un sito romano.
Uno sforzo ripagato dalla bella vista sull’anfiteatro di montagne e che rende ancora più meritata la polenta concia che ci aspetta al ristorante “Le Gîte aux Marroniers”. Un locale riconoscibile dalla bella insegna in ferro battuto, molto carino all’interno, con anche uno spazio all’aperto, meno suggestivo, ma perfetto per mantenere il distanziamento. Consigliamo di prenotare* perché i posti a sedere sono ridotti e all’ora di pranzo il borgo è piuttosto animato. Usciamo soddisfatti, avendo mangiato bene e pagato il giusto, pronti a rimetterci in marcia. Ci aspetta una passeggiata rilassante lungo il percorso che partendo dal parcheggio nei pressi del camping Tunnel e seguendo il segnavia 6C, nel bosco e lungo il torrente Artanavaz, porta alla località Prenoud in Comune di Saint-Oyen. Purtroppo non riusciremo ad arrivare alla meta a causa di un temporale improvviso che ci costringe a ritornare sui nostri passi per riprendere l’autobus per Aosta.
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La programmazione Lo abbiamo sentito ripetere fino alla nausea che l’estate del 2020 è stata “particolare”. In un clima di incertezza generalizzata, varcare i confini nazionali appariva particolarmente difficile e il collettivo di indirezionenoncasuale ha deciso di fermarsi in Italia per esplorare i castelli della Valle d’Aosta. Fedeli alla convinzione che si possa fare turismo responsabile anche nello Stivale e al principio di minimizzare la nostra impronta ecologica per quanto possibile, visto che il cosiddetto turismo lento è la nostra modalità di viaggio d’elezione, tutto l’itinerario prevedeva esclusivamente spostamenti con mezzi pubblici o a piedi. In molti ci hanno sconsigliato, sostenendo che sia difficile muoversi senza auto, che avremmo sprecato giornate alle paline dei bus o sulle banchine dei treni, ma abbiamo voluto provarci e – ve lo anticipo – pur con qualche ritardo e un paio di intoppi, l’esperimento è stato un successo.
Pernottamento Ancora una volta abbiamo scelto di soggiornare in appartamento, per essere più liberi, mantenere il distanziamento sociale e immergerci nella vita dei due luoghi che abbiamo scelto come base, per quelli che saranno dei circuiti ad anello e che vi racconteremo in dettaglio sulle pagine del blog. Come criterio di ricerca abbiamo privilegiato l’ubicazione e la centralità della struttura e ci siamo poi lasciati conquistare dalle foto, fidandoci delle buone recensioni degli altri viaggiatori e senza curarci della presenza del Wi-fi, visto che in Valle sono presenti numerosi hot spot da cui connettersi gratuitamente alla rete. In entrambe le sistemazioni ci siamo trovati molto bene. Ad Aosta siamo stati ospiti di Josette, in un grazioso appartamento nel cuore storico di Aosta, a breve distanza dal teatro romano, a due passi dall’ufficio del turismo e da tutto ciò che il centro della città ha da offrire, così come dalla stazione ferroviaria e degli autobus. Una breve passeggiata conduce alla cabinovia per Pila. Insomma un soggiorno in pieno centro, senza però essere in alcun modo disturbati dal rumore, potendo anche godere in assoluta solitudine del cortile interno. La gentilezza dell’host e la sua disponibilità, unite all’estrema pulizia della casa, meritano davvero cinque stelle. Per la seconda tappa abbiamo scelto di spostarci verso l’imbocco della Valle, a Bard, per provare la vita nel borgo medievale e passeggiare per le sue strette viuzze dopo la partenza degli ultimi visitatori del Forte. Ci ha ospitato Franco, profondo conoscitore del territorio, in un appartamento affacciato sulla via principale e con un terrazzino privato (con tanto di amaca per riposarci dopo gli innumerevoli chilometri percorsi) che in molti passando ci hanno invidiato. Anche in questo caso la sistemazione si è rivelata perfetta, per scoprire la nostra destinazione e per raggiungere la fermata dell’autobus, ed eventualmente la stazione di Hône-Bard.
“Giri in giro” Il portale turistico offre moltissimi consigli, informazioni pratiche e materiali, anche scaricabili, nella sezione “Prima di partire” e ci è servito come fonte di ispirazione oltre che come pratico strumento per la programmazione dell’itinerario. Una volta stabilito cosa vedere – suddiviso in “must see” e “mi piacerebbe” – il passo successivo è stato stendere un programma giornaliero e, soprattutto, verificare se esistevano dei mezzi che ci portassero a destinazione. Con sorpresa abbiamo scoperto che la Valle è ben servita dalla rete di autobus di varie società di trasporti, che gli orari vengono abbastanza rispettati (anche se a sentire le signore che a Issogne discutevano alla fermata i ritardi sono una costante) e che con un po’ di buona volontà si può lasciare la macchina a casa o quanto meno parcheggiata ad Aosta. Promossa a pieni voti, nella nostra esperienza, Savda, che ci ha consentito di raggiungere castelli e borghi in assoluta tranquillità, mentre con Vita l’esperienza non è stata pienamente positiva, l’abbiamo trovata meno organizzata e, onestamente, meno a misura di turista, sia nella sua presenza online sia in loco.
Arte e cultura Castelli, castelli e ancora castelli. Ebbene sì, siamo riusciti a visitare tutti quelli sulla nostra lista (tranne uno, Ussel) e persino a inserirne uno in più, ma complice l’attuale situazione ciò non sarebbe stato possibile senza una buona programmazione alle spalle e soprattutto senza aver prenotato in anticipo gli ingressi. Certo, così si perde un po’ di spontaneità e della libertà di decidere all’ultimo momento, dopo aver guardato fuori dalla finestra, ma gli spazi e i numeri dei visitatori consentiti sono ridotti per cui, ad eccezione di Castello Gamba e del Forte di Bard, si rischia fortemente un viaggio a vuoto senza la magica conferma della prenotazione. Una nota a margine, la conferma, stampata o sul cellulare, deve comunque essere convertita in un biglietto fisico, per cui è necessario un passaggio in biglietteria.
Noi siamo (felici) possessori dell’Abbonamento Musei e lo abbiamo sfruttato a fondo in questa vacanza. I monumenti e musei della Valle d’Aosta sono inclusi sia nella versione Abbonamento Musei Lombardia sia in quella del Piemonte e il sistema di prenotazioni online prevede una specifica opzione, per cui non ci sono sorprese né difficoltà. Praticamente tutti gli ingressi sono così risultati gratuiti, anche alle mostre temporanee al Forte di Bard, quindi il costo dell’abbonamento è stato ben presto ammortizzato. Dedicheremo a breve un post specifico su questa tessera.
Due giorni nella “Città del Rinascimento”, iscritta nella Lista dei Siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1995, sono sufficienti per cogliere le sue molte bellezze e per un assaggio di tutto ciò che Ferrara ha da offrire, anche dal punto di vista della sua cucina. Insomma una splendida meta per un fine settimana all’insegna dell’arte e della cultura.
In un post precedente avevo segnalato tutte le risorse utili per programmare il viaggio, oggi voglio raccontarvi tutto quello che siamo riusciti a condensare in due giornate molto intense. Noi abbiamo scelto di spostarci autonomamente, a piedi (scarpe comode, mi raccomando) e quando ci siamo seduti sul treno il contapassi segnava quasi 30 chilometri… la prossima volta il giro delle mura vogliamo provare a farlo in bicicletta. Viste le nuove norme di sicurezza per gli accessi a musei e monumenti abbiamo prenotato quasi tutto in anticipo, sfruttando appieno il pass MyFe e il sito per le prenotazione dei musei civici e devo dire che, tranne per la visita di Palazzo Schifanoia, non abbiamo mai dovuto aspettare e gli orari previsti sono sempre stati rispettati, senza necessità di code o attese.
Due giorni non sono molti, certo, ma le distanze ridotte consentono di crearsi un percorso personale, che per noi è stato soprattutto artistico e di scoperta, da percorrere relativamente senza fretta, grazie anche all’ottima collocazione dell’appartamento che avevamo scelto come base. Il primo giorno, ancor prima di depositare i bagagli, ci siamo diretti al Museo della Cattedrale, un autentico angolo di pace nel centro cittadino, con il suo chiostro a cui dedichiamo la prima foto.
Un piccolo gioiello, nella ex Chiesa di San Romano, in cui ammirare antifonari miniati, formelle del Duecento e arazzi, ma soprattutto le ante d’organo realizzate da Cosmè Tura che rappresentano il primo dei numerosi incontri che avremo con San Giorgio e il Drago. Siamo gli unici visitatori e l’assoluto silenzio, insieme a quella sensazione di essere davvero piccoli dinnanzi alla maestosità (e alle dimensioni) delle opere esposte, spingono alla contemplazione. Ma non di solo spirito vive l’essere umano, quindi ci concediamo una pausa veloce per il pranzo, prima di iniziare il pomeriggio con una piacevole passeggiata che ci porta al Museo Archeologico Nazionale. In realtà il nostro programma era diverso, ma visto che il museo è attualmente visitabile nella sua interezza solo il mercoledì e il sabato – come ci ha ricordato la gentile addetta dell’Ufficio Turistico – cambiamo direzione in corsa. Ci sarà tempo domani per scoprire l’antica Via delle Volte e parte delle mura.
Il percorso di visita si snoda dall’abitato alla necropoli della città etrusca di Spina. I reperti sono molto interessanti e l’allestimento curato permette a noi visitatori (anche in questo caso unici) di passeggiare letteralmente nella storia, stupendoci ancora una volta della maestria degli artigiani e degli orafi, tra vasi decorati e raffinati monili. Non si può uscire da Palazzo Costabili senza aver ammirato la Sala del Tesoro, con il suo soffitto finemente decorato, così come la Sala delle Piroghe in cui sono conservate due imbarcazioni monossili, presumibilmente di età tardoromana (III-IV secolo d.C.), ma soprattutto senza essersi “smarriti” nel labirinto, punto di forza del bel giardino neo-rinascimentale. Geometrie e scorci romantici, quasi come in una fiaba.
L’immersione nel passato continua con Palazzo Schifanoia, il solo dove la procedura di prenotazione ha mostrato qualche falla. Nell’antica delizia estense è possibile visitare tre sale, tra cui il Salone dei Mesi, per il secondo incontro con San Giorgio, con le sue splendide pitture murali. Impossibile non restare a bocca aperta di fronte al ciclo di affreschi, opera collettiva di diversi pittori ferraresi che rappresenta trionfi di divinità pagane, figurazioni della vita quotidiana e simboli dell’astrologia, considerato uno dei capolavori del rinascimento italiano.
È arrivata anche l’ora dell’aperitivo, che decidiamo di sostituire con la visita del Castello Estense, autentico simbolo di Ferrara, con il suo fossato e le possenti torri. I mattoni rossi in cotto che si stagliano in contrasto con il cielo azzurro e con il verde degli aranci del giardino pensile, ospitato in una loggia merlata, regalano molti spunti fotografici. Purtroppo le prigioni e la Torre dei Leoni non sono attualmente visitabili, ma il percorso regala comunque splendide vedute e questa residenza della corte degli Estensi va percorsa senza mai dimenticare di alzare lo sguardo, per non perdere nessuno dei soffitti degli appartamenti affrescati (valida a questo proposito l’idea di posizionare degli specchi in alcuni ambienti, come il Salone dei Giochi, per consentire al pubblico di cogliere i minimi dettagli degli affreschi senza doversi “torcere il collo”).
I chilometri percorsi iniziano a farsi sentire e Morfeo ci aspetta a braccia aperte, dopo una buona cena all’Ostinato, prenotato con “The Fork”, per provare i famosi cappellacci di zucca violina. L’altrettanto famosa torta alle tagliatelle ci aiuta a riprendere il passo, in un’assolata domenica mattina, verso il PAC e Palazzo dei Diamanti dove ci attendono due mostre, i Pittori fantastici nella Valle del Po e Banksy. Una pausa con gelato sulle panchine del parco Massari e via verso la Certosa, complesso monumentale costruito attorno alla metà del Quattrocento e successivamente arricchito dalla Chiesa di San Cristoforo. Gli appassionati di arte sacra e funeraria hanno a disposizione tre diversi percorsi tematici che noi abbiamo scelto di mescolare, lasciandoci trasportare dai passi in quella che viene definita una “emanazione della bellezza eterna della memoria”.
Per concludere il fine settimana in bellezza, e anche alla ricerca di un po’ di ombra, decidiamo di percorrere le mura cittadine, dalla Porta degli Angeli fino alla Porta Paola, fermandoci spesso a riposare e a godere della quiete, prima di ributtarci tra la gente lungo la Via delle Volte, ultima tappa prima di salutare Ferrara dai finestrini della Freccia Orobica che ci riporta a casa.
Qualche idea in più: Noi abbiamo scelto di scoprire la città in assoluta libertà, ma ci sono diverse opzioni per chi preferisce un itinerario guidato* o un tour in bicicletta*. Per gli amanti della street art segnaliamo il progetto “FM streetmap – Ferrara Mappa della Street Art” che comprende una mappa dei graffiti e dei murales più significativi realizzati sui muri di Ferrara, tra cui quelli in via Dosso Dossi, realizzati nel 2016 nel corso di un intervento di riqualificazione di una vecchia scuola.
Piè di pagina Museo della Cattedrale Aperto dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00. Chiuso il lunedì Ingresso: intero 6 euro, gratuito con MyFe Museo Archeologico Nazionale Aperto dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 14.00 alle 17.00. Chiuso il lunedì. L’intero museo (ossia tutte le sale del pianoterra e l’esposizione al piano nobile) è attualmente visitabile solo il mercoledì e il sabato Ingresso: intero 6 euro; Sala del Tesoro, Sala delle Monossili e Giardino 1 euro, gratuito con MyFe Palazzo Schifanoia Aperto dalle 10.00 alle 19.00. Chiuso il lunedì Ingresso: intero 6 euro, gratuito con MyFe Castello Estense Aperto dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 19.30. Chiuso il martedì mattina. Ingresso: intero 12 euro (comprensivi della visita alla mostra Tra simbolismo e futurismo. Gaetano Previati), gratuito con MyFe Certosa Accesso al cimitero monumentale è aperto tutti i giorni: inverno 7.00-17.00; estate 7.00-19.00. Possibilità di seguire 3 percorsi tematici, tutti i giorni, da ottobre a marzo, dalle 8.30 alle 15.00. Percorsi tematici: https://certosadiferrara.it/01-storie-di-ferrara; https://certosadiferrara.it/02-le-sette-arti; https://certosadiferrara.it/03-la-sacra-bellezza Mura cittadine https://www.ferraraterraeacqua.it/it/materiale/ferrara-e-le-sue-mura
* indirezionenoncausale partecipa a programmi affiliati. Per gli acquisti fatti tramite i link indicati potrei ricevere una piccola commissione percentuale che non incide sul prezzo pagato. Codice di riferimento su The Fork: 7AB95734.
La mostra di Banksy a Ferrara è lo stimolo che ci voleva per organizzare un fine settimana alla scoperta di una città dalle molte attrattive, il cui centro storico è incluso nella Lista dei Siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO dal 1995, come “Città del Rinascimento”, con la seguente motivazione “mirabile esempio di città progettata nel Rinascimento, che conserva il suo centro storico intatto e che esprime canoni di pianificazione urbana che hanno avuto una profonda influenza per lo sviluppo dell’urbanistica nei secoli seguenti”.
Per la programmazione della visita sono risultate essenziali alcune risorse: 1) il sito Airbnb per il pernottamento 2) il portale turistico ufficiale della provincia di Ferrara 3) il sito per le prenotazione dei musei civici 4) le pagine dedicate a MyFe, la carta turistica di Ferrara
Pernottamento In ogni luogo che visitiamo ci piace immergerci nella realtà quotidiana e soprattutto in questo periodo quando è ancora forte l’idea di “stare distanti” la scelta non poteva che cadere su una intera casa. Nella lista dei desideri soprattutto la posizione centrale e poi, ovviamente, un prezzo onesto. La scelta (felicissima) è caduta sulla proposta del superhost Federico, entro le mura, a dieci minuti a piedi tanto da Palazzo dei Diamanti che dal Castello Estense, in un palazzo d’epoca, con uno grazioso affaccio su un giardino interno. Tranquillità e buon riposo assicurato. A pochi passi una forneria che consente di provare anche qualche dolce tipico ferrarese, una gelateria con interessanti gusti stagionali, ristoranti e negozi, una farmacia. La cortesia e disponibilità di chi ci ha accolti hanno fatto il resto. I plus: biciclette a disposizione degli ospiti e tantissimi materiali da consultare per godere appieno dell’offerta turistica della città.
“Giri in giro” Per pianificare al meglio due giorni molto intensi abbiamo sfruttato al massimo il portale turistico, da cui è possibile scaricare anche molti materiali utili, come la cartina che accompagna nella passeggiata lungo i 9 chilometri delle mura cittadine o la guida per chi vuole spostarsi in bicicletta . Un portale fondamentale per conoscere le bellezze di Ferrara e costruire l’itinerario perfetto, su misura. In realtà proprio questo percorso lungo le mura ci ha permesso di vivere una domenica pomeriggio nel verde, tra le piante, spesso in assoluta solitudine, muovendoci con lentezza, assaporando l’atmosfera rilassata, uno di quei magici momenti in cui l’unica cosa importante senza quella di mettere un piede davanti all’altro, lasciandosi trasportare.
Arte e cultura Palazzi rinascimentali e musei, chiese e giardini, affreschi e collezioni di reperti archeologici, Ferrara ha davvero tutte le carte in regola per soddisfare gli amanti della storia e dell’arte. Certo, dopo la quarantena, uno dei punti critici è sicuramente quello di capire quali monumenti e strutture siano aperti, in che orari e con quali modalità e ancora una volta ci affidiamo al portale turistico che propone un elenco in costante aggiornamento, con tutte le informazioni utili per evitare delusioni (ad esempio ad oggi la Torre dei Leoni e le prigioni nel Castello Estense sono ancora chiuse al pubblico, così come il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea) e spostamenti inutili.
Selezionati i luoghi del cuore e le esperienze da non perdere, nell’ottica delle nuove norme che regolano il contingentamento degli ingressi, abbiamo deciso di sacrificare un po’ di spontaneità e prenotare direttamente le diverse visite grazie al servizio gratuito offerto dai civici musei. Questa prenotazione serve esclusivamente per riservare il proprio posto nella data e all’ora prescelta, mentre il pagamento avviene direttamente alla cassa delle varie strutture (nota: il sistema non include il Museo Archeologico, a gestione statale). Per coloro che intendono scoprire il mondo degli Estensi e molto altro di ciò la Città del Rinascimento ha da offrire a un prezzo vantaggioso è possibile acquistare, anche online, MyFe, un pass che include i principali musei e monumenti. Noi l’abbiamo provato e vi racconteremo a breve la nostra esperienza. Sempre a proposito del panorama museale e artistico, vale la pena ricordare che dal 1° luglio al 31 ottobre 2020, nell’ambito della campagna “Ferrara rinasce”, è prevista una riduzione del 30% della tariffa intera per l’ingresso ai Musei Civici, consegnando alle biglietterie il coupon rilasciato dall’Ufficio Informazioni Turistiche della città a fronte della presentazione di uno scontrino o ricevuta delle realtà economiche della città, di importo pari o superiore a 10 euro.
Per marcare un momento molto particolare, non un “libera tutti” ma un primo tentativo di ritornare a una vita sociale, di relazione, che per il collettivo indirezionenoncausale vuol dire anche, soprattutto, ricominciare a progettare viaggi futuri, riprendiamo il filo del discorso legato al turismo responsabile, con la seconda parte dell’intervista a Renzo Garrone di RAM Viaggi, in cui si parlava di progetti per il 2020, prima che la pandemia cambiasse il nostro orizzonte quotidiano e, probabilmente, di medio periodo.
Dopo aver scoperto chi è RAM Viaggi ci immergiamo nel cuore di questa riflessione sul turismo responsabile.
D.Il dibattito sul fenomeno del turismo globale, con i turisti accusati di essere più colonizzatori che viaggiatori, sulla prevalenza della condivisione delle immagini sui social rispetto al piacere della scoperta e della conoscenza, si ripropone (banalmente) ogni estate. Ma si tratta per lo più di articoli dai titoli urlati, zeppi di luoghi comuni. Manca una reale volontà di confrontarsi seriamente sul tema dell’iperturismo a livello mondiale, mentre tra il pubblico pare essersi persa l’idea, per dirla con Claudio Magris, che “viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un’altra”(1). Dal tuo punto di vista privilegiato di viaggiatore consapevole ritieni che l’overtourism sia un problema reale, soprattutto nei paesi del cosiddetto sud del mondo, e pensi che in qualche misura il turismo responsabile possa essere contemporaneamente utile a lottare contro questa minaccia e cancellare vecchi (e nuovi) stereotipi? R. Mi piace intanto l’espressione iperturismo, secondo me assai più azzeccata che overtourism. Quel che dite è tutto vero. Ed il fenomeno rappresenta un problema anche nel sud del mondo. Alcuni luoghi sono stati talmente inflazionati in questi ultimi anni, tanto che registrano gli stessi identici problemi: sovraffollamento, traffico, aumento prezzi del posto, espulsione dei residenti, banalizzazione culturale, e la triste, spintissima, mercificazione dell’offerta. Ovviamente se più persone, più operatori, più gruppi bene assortiti, più viaggiatori indipendenti, praticassero davvero del buon turismo responsabile, questo sarebbe uno strumento efficace per il cambiamento. Il punto è però che si parla di turismo responsabile, a volte fino alla nausea, ma non lo si pratica realmente – e in questa critica metto un po’ tutti, qualche volta anche noi stessi, anche me stesso. C’è modo e modo di fare le cose, perché le differenze esistono e se messe in atto generano ulteriori differenze, nel bene e nel male. Da una parte si è verificata – senza quasi ce ne accorgessimo – una sorta di mutazione antropologica (il copyright di questa definizione non è mio, ma di Paolo Grigolli, direttore TSM, Trento), e il turismo in eccesso (agito da persone non consapevoli del fenomeno di cui sono parte, e che contribuiscono a creare) ne è lo specchio. Oggi pare che tutti possano fare tutto, viaggiare di punto in bianco a 10.000 km di distanza senza alcuna preparazione pregressa. Non ci sono limiti se non le paure, largamente indotte dalla propaganda, per le quali ad esempio l’Iran significa oscurantismo e magari belle moschee, ma nient’altro; la paura della guerra, e allora non ci si va. Ma poi c’è la banalità della mercificazione totale in agguato, c’è l’universo articolato dei luoghi comuni, per i quali Bali è giusto spiagge e divertimentifici, e da lì non si esce. Rari coloro che approfondiscono per conseguire un’immagine più articolata dei luoghi (questo introdurrebbe il tema del tornare nei luoghi, ma sarebbe un altro capitolo, che per me è azione comunque necessaria per capire meglio). Ci si domanda, a vote increduli: ma è possibile che poi in viaggio ai più basti la conferma di questi stereotipi? Eppure per la maggior parte dei turisti, oggi, schiavi di un tempo libero assai limitato, sembra vada bene così. Per me quale essere umano è quasi umiliante – cerco di fregarmene ma mi fa spesso anche rabbia – notare il trionfo “della prevalenza della condivisione delle immagini sui social rispetto al piacere della scoperta e della conoscenza”. Quello che trionfa è la superficialità, che sarebbe un ingrediente da bandire, tipo lo zucchero bianco. Ma che spunta inevitabile se, nel viaggio, non c’è tempo abbastanza e se non c’è la motivazione né l’abitudine ad approfondire. Questi due, se praticati sul serio, sono due degli ingredienti-chiave del Turismo Responsabile. I più eretici, quelli intorno a cui è nata però – a partire dagli anni ’90 – la nostra (fragilissima, misconosciuta, ma viva) “scuola italiana”. Moltissimi utenti non hanno questa spinta, quindi c’è un problema di psicologia, a monte. A valle invece è una questione di tecnica turistica, se posso permettermi, che è però anche scelta politica, che deriva dalle pastoie commerciali dell’offerta locale e degli operatori professionali. Per esempio in un bel luogo archeologico, mettiamo il comprensorio di Angkor in Cambogia, o Pagan in Birmania, si può sempre aggiungere una giornata per vedere anche luoghi meno celebri nella stessa zona, sennò davvero, come dicevi tu all’inizio, si è venuti solo per piantare delle bandierine? (che per il turista significa, smarco, fatto anche questo). È necessario che la gente acquisisca maggiore consapevolezza: anche in una Venezia o in una Firenze, se ti allontani di 500 metri dai luoghi dell’iperturismo, la maggior parte dei posti tornano ad essere vivibili più normalmente. Che significa visitabili semplicemente. Ecco, per fare del buon turismo, e incidentalmente anche per decongestionare, si può partire dalla propria iniziativa, voglia, curiosità – staccandosi dal gregge. Spesso la qualità dipende da cosa fai e dal come lo fai, non dal dove vai in senso stretto. In una certa località puoi vedere un grande tempio famoso, pieno di gente, e magari affollato spesso di troppi turisti – perché oggi va così – ma successivamente puoi allontanarti, incontrare qualcuno del posto, certo può funzionare bene se si tratta di qualcosa di organizzato prima. Puoi anche chiedere alla tua guida, per esempio, di uscire dagli schemi. Gli interlocutori potrebbero poi essere amici ma anche, per esempio, di organismo di sviluppo sociale. Si può andare a casa delle persone, dove si capisca meglio come si vive, si può mangiare con loro, la condivisione è un ottimo sistema per colmare il gap tra culture… Può cambiare insomma la prospettiva, lo stesso luogo può essere declinato in molti modi. Alcune di queste modalità meno convenzionali di viaggio restituiscono profondità, e quel che accade te lo ricorderai per sempre. Di altre visite, specie quelle prive di incontri significativi, probabilmente resterà molto meno. Un’immagine più superficiale. Questo non significa che l’incontro vada considerato come obbligatorio per legge, non siamo talebani. Certa arte e certa natura possono essere fruite, e magari anche meglio, senza l’interferenza di altri esseri umani. Ma in generale, credo che l’incontro sia un ingrediente-chiave del turismo responsabile.
D. Torniamo a parlare specificamente di viaggi. Per noi, che ben conosciamo il catalogo delle proposte di RAM Viaggi sarebbe difficilissimo rispondere a questa domanda, ma magari per te è più semplice… qual è il viaggio che più vi rappresenta e perché? E quello a cui sei più legato sentimentalmente e quello che invece non riesci (quasi) mai a far partire? R. Difficilissimo anche per me. Questi viaggi sono almeno dieci! Dico India del sud, per il livello di contatto umano che si rende possibile attraverso una permanenza di diversi giorni consecutivi in homestay, con alloggio e ristorazione in famiglia. Ma dico anche Nepal, Valle di Kathmandu, per la incredibile quantità di relazioni amicali che RAM ha sviluppato sul territorio, tra l’altro in un un’area circoscritta, che consentono davvero di fare un viaggio diverso da qualsiasi altro. E dico necessariamente Iran, un paese dove il nostro turismo ha un significato profondo, dove la gente ti cerca per dimostrare che esiste, che non sono terroristi. Un paese poi, al di là di questo, davvero bellissimo. Ma dovrei dire anche Indonesia, perché si tratta un luogo dove la dolcezza delle persone mi ha sempre incantato. E con queste quattro citazioni faccio un torto alla bontà di altre destinazioni.
D. Progetti futuri. Il viaggio che ancora non sei riuscito a organizzare, ma che speri di riuscire a proporre prossimamente (se vuoi abbiamo qualche suggerimento) e la meta che da viaggiatore vorresti tanto riuscire ad esplorare. R. Prossimamente RAM apre il Giappone, a primavera 2020. Vado in Giappone a costruire il viaggio tra novembre e dicembre del 2019, in pratica sto partendo! Vorrei aggiungere poi tanti altri viaggi con molto tempo in natura, con trekking che siano belli ma anche facili, non estremi (anche perché non me lo posso più permettere, non solo perché non lo vogliono i nostri clienti). Mi piacerebbe ripartire e ampliare la nostra offerta in Turchia, attualmente sospesa del tutto, ma con questo regime davvero non ce la sentiamo. Ma passerà anche Erdogan… Mi piacerebbe inoltre aggiungere parecchio Medio Oriente, ma c’è sempre qualche guerra e si tratta quindi, per noi piccolissimi, di investimenti rischiosi. Aggiungeremo di sicuro nuove mete in Indonesia. Le isole sono 17.000… E aggiungeremo viaggi con gli esperti, che alzino il livello culturale del singolo viaggio: costeranno di più ma ne varrà la pena.
Per ora ci fermiamo qui, ma torneremo presto a parlare di turismo responsabile, di nuovi paradigmi per viaggiare e di iperturismo. Nel frattempo non smetteremo di esplorare.
Dieci anni fa abbiamo scelto consapevolmente un modo diverso di scoprire il mondo, di viaggiare, che ci permettesse di vivere i luoghi, le diverse realtà in maniera meno frettolosa, meno superficiale, senza sentirci come se stessimo soltanto piantando una bandierina sul planisfero. Dieci anni fa abbiamo deciso di superare un po’ di timore e molti preconcetti e di provare un’esperienza di quel turismo responsabile di cui tanto avevamo letto. Oggi non credo che potremmo “tornare indietro” al tradizionale concetto di viaggio organizzato, ancorché di scoperta, rinunciando a quegli elementi che sono diventati una componente intrinseca del nostro modo di trascorrere le vacanze, ad approfondire il rapporto con i territori e le persone che li abitano, senza dimenticare che ogni nostro singolo gesto, come turisti, oltre che come ospiti della Terra, si inserisce sempre in un quadro molto più ampio, senza mai poter essere completamente neutro, privo di conseguenze. Ma cosa è il turismo responsabile, quali sono le sue caratteristiche imprescindibili? Il collettivo indirezionenoncasuale ha chiesto una definizione a Renzo Garrone, direttore di RAM Viaggi, uno dei primi operatori in Italia a scegliere i viaggi responsabili come propria cifra sia stilistica che di contenuto, fondatore di AITR, Associazione Italiana Turismo Responsabile, e autore di reportage di viaggi vicini e lontani, ma soprattutto su ambienti, culture e persone diverse.
D. Renzo, innanzitutto ci riassumi la storia di RAM Viaggi che è legata a doppio filo proprio all’idea di turismo responsabile prima di proporci la tua definizione? R. Innanzitutto RAM Viaggi fa parte di RAM, un gruppo di persone che si occupa da oltre 30 anni di commercio equo, di turismo responsabile, di cultura (editoria, eventi pubblici) e formazione. Siamo focalizzati, e nei decenni ci siamo specializzati, su tematiche asiatiche. L’attività dei viaggi è cominciata nel 1991, sotto l’ombrello di Associazione RAM, a beneficio dei soci. Successivamente, per un inquadramento adeguato sia sul piano giuridico che fiscale, fu necessario scorporare i viaggi dal resto dell’attività. Siamo diventati un Tour Operator dal luglio 2005. RAM Viaggi è una SRL, mentre l’importazione + rivendita di prodotti provenienti da piccole aziende asiatiche, oltre all’editoria specifica e ai frequenti eventi culturali, resta sotto l’ombrello di Associazione RAM. Il gruppo d’altra parte esiste fin dal 1988 e fu la primissima realtà in Italia ad organizzare viaggi di questo genere. Nel 1991, né il fenomeno né il movimento del “turismo responsabile” esistevano ancora, noi però parlavamo già di turismo d’incontro. Proponemmo Nepal e India centrale, quell’estate. Da allora siamo cresciuti, abbiamo fatto i nostri investimenti, camminato insieme a molti altri compagni di strada. Siamo tra i fondatori di AITR, l’Associazione Italiana Turismo Responsabile, di cui fummo tra i principali ispiratori attraverso gli anni Novanta. Sul piano dell’organizzazione dei viaggi, c’è stata una messa a fuoco dell’operatività, uno specializzarsi graduale. La nostra scelta, fin dall’inizio, è stata limitarsi alle destinazioni asiatiche: la regione indiana, quella tibetana ed il sudestasiatico rappresentano il cuore dell’attività; successivamente abbiamo introdotto il Medio Oriente. Avevamo anche viaggi in Siria prima della guerra, e in Turchia prima di Erdogan. Operiamo in Iran dal 2014 e in Oman dal 2017. Stiamo introducendo il Giappone. Poi c’è Cuba, dove mandiamo turisti da sempre (la cosa è legata a un antico socio RAM della prima ora, titolare della destinazione). Mentre in Africa ci limitiamo all’eccezione Capo Verde, dall’estate 2012. In Italia ci concentriamo su soggiorni ed escursioni “d’autore” soprattutto in Liguria, il nostro territorio. Il motivo è specifico: siamo una piccola realtà che cerca di offrire ai clienti prestazioni di alta qualità, quantomeno sul piano della conoscenza dei luoghi che si visitano, sia sotto il profilo logistico che sul piano culturale. In più, rispetto a tutti gli altri operatori, anche sotto il profilo del contatto umano nelle varie destinazioni (ma anche dentro i gruppi che si creano). In sostanza, cerchiamo di fare in modo che tutti i viaggi siano legati a qualche storia specifica, significativa: quella dei nostri partners, quelle di orientamento sociale che caratterizzano tutti i nostri tours. Mi chiedi una definizione di Turismo Responsabile: è difficile riassumere in poche righe un concetto molto complesso. AITR a Cervia, nell’ottobre 2005, varò la propria, che votammo anche noi pur trovandola non esaustiva. Essa recita: Il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori. Quel che devo aggiungere, dopo anni di pratica, è che non è possibile parlare di forme di turismo veramente responsabile, che siano realtà e non vuoti pronunciamenti o velleitarie asserzioni, se non sono coinvolti con sincera dedizione un po’ tutti gli attori, i protagonisti degli eventi che vanno in scena in viaggio, cioè sia gli ospiti che gli ospitanti; affinché ciò accada l’incontro è l’unico strumento valido, quello che può rendere l’occasione memorabile, che può far divertire, scaldare i cuori da ambo le parti. Ma più in generale, uscendo dalla singola esperienza, sul piano sociologico e politico, coinvolti nella stessa logica devono essere gli amministratori del territorio, i residenti o almeno una quota significativa tra costoro. Per brevità mi limito a fare un esempio: uno dei principi del TR è il rispetto dell’ambiente. Ma laddove localmente non esistono raccolta differenziata, cestini dei rifiuti, per non parlare di politiche effettive di risparmio energetico a tutti i livelli, come possono il singolo turista, e a maggior ragione i gruppi, comportarsi responsabilmente? Per tornare al nostro modo di lavorare, per i viaggi di gruppo utilizziamo una squadra di accompagnatori, una decina, molti dei quali collaborano con noi da anni, che RAM forma appositamente quali mediatori culturali, secondo il nostro specifico stile. I nostri sono, sempre, viaggi in mezzo alla gente. L’accompagnatore italiano, solitamente insieme alla presenza di guide locali selezionate in anni di lavoro, costituisce il trait d’union fondamentale dell’esercizio. Rispetto agli inizi, abbiamo diversificato l’offerta: oltre ai classici viaggi di gruppo con accompagnatore italiano, che restano centrati sull’incontro (il nostro marchio di fabbrica) oggi offriamo viaggi con la formula “in autonomia”, ossia su misura: uno sceglie date e destinazione, noi tracciamo un itinerario personalizzato, prenotiamo i voli e le sistemazioni, e rendiamo possibili le visite ad alcuni progetti di orientamento sociale. Il tutto mettendo a disposizione alcuni nostri referenti locali – per il tempo che si desidera. Si tratta di una scelta adeguata per chi se la senta di viaggiare per conto proprio, dato in questa formula non c’è mediatore culturale italiano ma solo le guide del posto: è fondamentale che almeno uno dei viaggiatori conosca la lingua straniera di riferimento in modo accettabile, poiché i referenti locali parlano solo inglese (o spagnolo nel caso di Cuba). Per i viaggi in autonomia inoltre, diventa fondamentale la riunione preparatoria, perché in essa – che si fa peraltro anche prima di tutti i viaggi di gruppo – vengono spiegate nel dettaglio le situazioni che abbiamo anzitempo prenotato. Possiamo farlo per via della passione che ha generato una competenza adeguata in determinati territori, siamo degli artigiani della logistica. Ancoriamo inoltre l’esperienza all’incontro con persone del luogo che ci danno garanzie sullo “spirito” giusto. In definitiva vendiamo solo ciò che conosciamo, cioè un numero limitato di destinazioni. Ma mi sembra chiaro che non potremmo operare in questo modo se volessimo, come fan tutti, coprire l’intero globo terracqueo. Accanto ai viaggi, a RAM si lavora in termini di cultura. L’organizzazione dei viaggi è divisa da un’attività che spesso i viaggi li critica, li discute, li esamina. L’editoria ne è stato per anni il risultato essenziale. Il volume Turismo Responsabile (ultima edizione 2007) ha portato in Italia questa riflessione, dando il la al movimento successivamente federatosi in AITR. RAM ha prodotto/produce anche una collana di libri fotografici, a metà tra il reportage e l’indagine (Lavoro e Diritti/Local Arts) in cui si esaminano le economie di base di vari paesi asiatici. È online dall’aprile 2018 il blog renzogarrone.com.
“Uno dei più antichi esercizi di filosofia morale dell’essere umano è la ricerca di una giustificazione etica superiore per l’egoismo. È un esercizio che implica sempre una serie di contraddizioni interne…” (J.K. Galbraith)
Delle contraddizioni interne della società indiana si è parlato spesso e mi pare che Delhi le amplifichi ancora di più, nonostante i recenti tentativi dell’amministrazione (già peraltro visti in altre città e in altri Paesi) di “risolvere” il problema semplicemente spostandolo fuori dai confini cittadini. Resta il fatto che la disperazione di chi vive sotto i viadotti, nelle aiuole che fungono da mezzeria nelle strade o semplicemente ai bordi della via è sempre un pugno nello stomaco. Ogni singolo istante, anche il più intimo, si svolge sotto gli occhi dei passanti. Una simile mancanza di confini mi disturba, così come mi disturba l’estremo disinteresse di molti indiani verso l’altro, l’ambiente e gli animali. Credo che non riuscirò mai ad abituarmi, sono costretta a distogliere lo sguardo per non scontrarmi con il vuoto di altri sguardi, quelli di coloro che non si aspettano più nulla, non so neppure se siano ancora capaci almeno di sognare una vita diversa. Sono consapevole della mia fortuna e al contempo imbarazzata da quella stessa fortuna, incapace di comprendere fino in fondo ciò che vedo e di accettarlo come ineluttabile. Questo è probabilmente uno dei motivi per cui Delhi è una città da scoprire poco alla volta, lasciandosi affascinare dalle sue bellezze e dai suoi monumenti per dimenticarne la sporcizia, a tratti il fetore, l’estrema crudezza. Sì perché, nonostante l’incessante rumore, il traffico e i mille problemi irrisolti, Delhi offre scorci di pura magia, come il Complesso di Qutab, prima destinazione di questa seconda giornata, accompagnati da una “guida” speciale, che, grazie ai suoi racconti, ci permetterà di capire meglio la mentalità degli abitanti, la complessità dell’odierna società indiana e i principi ispiratori del movimento guidato dal Mahatma Gandhi, di cui appena qualche mese dopo si sarebbero celebrati i 150 anni dalla nascita.
Il Complesso di Qutab, dal 1993 inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco, sorge nel sito della “prima” Delhi musulmana e deve il nome al sovrano afghano Qutb ud-Din Aibak che volle la costruzione del suo monumento più famoso, quello che secondo l’opinione degli storici più accreditata costituisce un minareto che con i suoi oltre 72 metri svetta sull’intero parco. La genesi dei cinque piani del minareto – in arenaria rossa, arenaria e marmo – che si affacciano in altrettante balconate, copre il periodo dal 1293 all’inizio del XIX secolo, con diverse ricostruzioni e rimaneggiamenti, testimoniando l’evoluzione dello stile architettonico nel passaggio dalla dinastia Aibak a quella Tughlak. I fulmini, che a più riprese si sono abbattuti sulla struttura non sono riusciti ad abbatterlo, ma oggi non è più possibile salire all’interno, dopo che nel 1981 ne fu decisa la chiusura a seguito di un tragico evento che causò la morte di 45 persone. Ma il minareto è solo la punta di diamante di questo complesso che grazie alle rovine immerse nel parco regala scatti bellissimi e una vera e propria immersione nell’architettura indo-islamica, insieme alla sensazione di poter lasciare, almeno per qualche ora, la frenesia al di fuori del cancello di ingresso.
Il tempo scorre e, dopo aver testato una sorta di mensa universitaria (dove il cibo è molto più buono di quanto non fosse, almeno nei miei ricordi, quello della mensa a Verona) ci dirigiamo verso la seconda tappa, un altro complesso monumentale, anch’esso Patrimonio dell’Unesco, che è la prima tomba-giardino del Subcontinente indiano e uno dei primi esempi compiuti di architettura Moghul (o Mughal).
Questo resterà, insieme ai Lodi Gardens uno dei miei luoghi del cuore a Delhi, dove grazie al numero ridotto di visitatori, alle dimensioni del giardino e all’atmosfera generale di un tranquillo, e un po’ sonnolento, pomeriggio estivo ho ricaricato le pile, preparandomi alla nottata sul treno in direzione Udaipur.
Il complesso, realizzato a partire dal 1562, ospita la tomba principale dell’imperatore Humayun, insieme ai cenotafi della moglie e di altri discendenti, e un giardino sviluppato secondo il modello persiano del Chahar bagh, un quadrilatero diviso in quattro parti da camminamenti pedonali e corsi d’acqua, a d imitazione dei quattro fiumi che scorrono nello Janna, il paradiso islamico. La tomba è un pregevole equilibrio di contrasti, alla magnificenza dei decori esterni, realizzati spesso con la tecnica degli intarsi di marmo, si contrappone l’austerità degli interni, mentre alla simmetria degli elementi architettonici esterni controbatte la complessa planimetria del piano terreno, al rosso dell’arenaria risponde il bianco del marmo (purtroppo il blu delle piastrelle delle piccole canopie è andato perduto). Ci fermiamo ad ammirare le diverse prospettive e per continuare nel gioco di contrasti, ai sari tradizionali delle donne, autentiche macchie di colore, si oppone il bianco abbagliante dell’abito di una fashion blogger indiana.
Più raccolta, ma altrettanto affascinante, quasi una perla in un giardino cintato, è la tomba di Isa Khan Niyazi, datata 1547. Approfittiamo subito per fare una passeggiata sui camminamenti del muro di cinta, preludio in tono (molto molto) minore di quel che ci attenderà al Forte Kumbhalgarh.
Un’ultima pausa, all’ombra di grandi alberi e circondati da cani dagli occhi dolcissimi, per parlare dell’India di ieri e del futuro, delle riforme promesse e mai fino in fondo attuate, della necessità di ripensare la struttura sociale del Paese nell’ottica di una maggiore equità. Salutando la serenità del giardino ci dirigiamo verso la stazione di Nizamuddin da dove prenderà le mosse l’itinerario in Rajasthan. “In carrozza, si parte!”…
Piè di pagina – Complesso di Qutab Ingresso: 500 rupie per gli stranieri, orari dichiarati dalle 7:00 alle 17:00, tutti i giorni. Come arrivare: la fermata della metropolitana più vicina è Qutab Minar sulla Linea Gialla. – Tomba di Humayun Ingresso: 500 rupie per gli stranieri, orari dichiarati dall’alba al tramonto, tutti i giorni. Come arrivare: la fermata della metropolitana più vicina è JLN Stadium sulla Linea Viola.
“… la verità è che Delhi è una città folle” (Aravind Adiga)
Nel 2008, nel suo primo romanzo, Aravind Adiga racconta di una scalata sociale, di un’India attraversata da profondissimi conflitti e contraddizioni e di una Delhi sempre a cavallo tra due estremi, scintillante e buia, ingenua e scaltra, corrotta eppure innocente, in cui le vite di ricchi e poveri si sfiorano costantemente, si intersecano con effetti spesso tragici. Tante cose sono cambiate da allora e tante sono rimaste immutate, impermeabili al trascorrere del tempo, all’avvicendarsi dei politici e dei loro sogni (ultimo in ordine di tempo quello delle “città smart” di Modi). L’unica certezza rimangono proprio gli estremi, anche climatici, di una città che ci ha accolto con una pioggia torrenziale, per regalarci poi in sequenza uno splendido tramonto e successive giornate di sole e caldo soffocante. La prima visita, nell’attesa che i nostri compagni di viaggio atterrino, la dedichiamo al Lal Qil’ah, il Forte Rosso patrimonio dell’Unesco, splendida e imponente fortezza-palazzo che rappresenta l’apice della creatività Moghul e racchiude al proprio interno una sintesi di arte persiana, indiana ed europea. Immagino che perdersi nei giardini interni debba essere un’esperienza memorabile, ma devo appunto accontentarmi di immaginare, perché i giardini li attraversiamo a passo di carica per passare di riparo in riparo, visto che la mantella impermeabile e l’ombrello non sono sufficienti a proteggerci dalla cascata d’acqua che si riversa dal cielo. Però, devo ammetterlo, i diversi padiglioni e le mura in arenaria rossa, lunghe 2,5 km e con un’altezza variabile tra i 16 e i 33 metri, mantengono tutto il loro fascino e le foto al Diwan-i-Am con “l’effetto gocce” rendono abbastanza l’idea di una mattinata passata con i piedi a mollo. Diciamo quindi arrivederci al simbolo dell’indipendenza indiana con un ultimo scatto in questo nostro film personale che abbiamo intitolato Monsoon (without a) wedding.
Il ritorno in albergo, nel caotico quartiere di Paharganj, diventa un’avventura, con le strade trasformate in torrenti che rendono il traffico ancora più selvaggio, con mezzi di ogni tipo, animali ed esseri umani che lottano per conquistare faticosamente un metro dopo l’altro, in un crescendo cacofonico di clacson e rumori. E poi improvvisamente la pioggia si placa e non possiamo non unirci al sorriso del guidatore del nostro tuk tuk che scuotendo la testa ci ricorda che “This is India”.
Un paio di masala chai dopo – sì, il tè diventa una sorta di unità di misura del tempo che passa – le nuvole si sono dissolte e il gruppo ormai al suo completo è pronto per una prima passeggiata che ci porterà ad attraversare il mercato e poi a raggiungere il Gurdwara Bangla Sahib, una delle principali case di culto sikh dell’intero Paese, riconoscibile sin da lontano per la sua cupola dorata e l’alto pennone. Lo scorso anno avevamo visitato il santuario al mattino, insieme a innumerevoli pellegrini, mettendoci alla prova nella langar, la cucina comune, in cui i volontari preparano i pasti che tutti potranno mangiare, indipendentemente dal credo e dalla razza. Quest’anno ci fermiamo ai bordi del sarovar, la grande vasca che contiene l’acqua Amrit venerata anche per le sue proprietà curative per ammirare un tramonto da cartolina cullati dalla musica devozionale tradizionale che risuona dagli altoparlanti.
Fast forward… Volti diversi, un altro credo, ma altrettanta curiosità da parte dei turisti e devozione da parte dei fedeli si respira alla Jama Masjid, la principale moschea di Delhi, del cui cortile si dice possa contenere fino a 25.000 persone. Poco distante dal Forte Rosso, si tratta di un altro monumento legato alla dinastia Moghul, a cui si accede salendo uno dei tre scaloni in arenaria. La facciata della sala della preghiera è caratterizzata da 11 archi, con il principale sotto una grande volta, che richiama la mihrab, la nicchia che indica la direzione della Mecca. Le posizioni per la preghiera qui sono importanti, come ci ricordano anche i rettangoli in cui è suddiviso il cortile al cui centro spicca la vasca a cui attingere l’acqua per le abluzioni. Complice una temperatura elevata sin dalle prime ore del mattino, della visita alla Moschea del Venerdì, oltre all’imponenza e alle splendide prospettive delle arcate, porterò con me la sensazione di piacevole frescura della sala della preghiera e dei suoi pavimenti, quasi un balsamo per le piante dei nostri piedi dopo il passaggio sulla pietra scaldata dal sole.
Piè di pagina Forte Rosso Ingresso: 500 rupie per gli stranieri, orari dichiarati dalle 9:30 alle 16.30, chiuso il lunedì. Come arrivare: la fermata della metropolitana più vicina è Chandni Chowk sulla Linea Gialla. Spettacolo suoni e luci in hindi e inglese a orari fissi. Bangla Sahib Ingresso: gratuito, tutti i giorni dalle 5:00 alle 22:00. I visitatori stranieri devono lasciare le scarpe nell’apposito deposito. Portare un foulard/bandana per coprire il capo (anche per gli uomini, il semplice cappello non è sufficiente). Come arrivare: la fermata della metropolitana più vicina è Rajiv Chowk (Gate 1) a circa 15 minuti di distanza. In alternativa utilizzare la Airport Express Line e scendere alla fermata Shivaji Stadium. Jama Masjid Ingresso: gratuito, ma è richiesto il pagamento di 300 rupie per le foto, tutti i giorni dalle 7:00 alle 12:00 e dalle 13:30 alle 18:30. Non è consentito l’ingresso ai turisti negli orari di preghiera. Le scarpe devono essere tolte prima del portale ed è richiesto un abbigliamento consono (In caso contrario è disponibile un servizio di noleggio di tuniche). Come arrivare: la fermata della metropolitana più vicina è Chawri Bazaar sulla Linea Gialla.