Una sera a teatro: Il gabbiano

“La vita va raffigurata non così com’è, e non come dovrebbe essere, ma così com’è rappresentata nei sogni”

Amore e passione, intrecci di sentimenti non corrisposti, illusioni e disillusioni, gelosia e rivalità, conflitti tra generazioni, e poi il teatro che parla di se stesso e che diventa un (ingombrante) personaggio sulla scena.
Una pièce nata come una commedia che sfida le leggi del genere, mescolando, per dirla con le parole dell’autore “un bel paesaggio (vista sul lago), molti discorsi sulla letteratura, poca azione, un quintale d’amore”.
Il dramma delle speranze deluse come lo hanno definito molti.
Un’opera corale in cui ciascuno dei personaggi ha un ruolo essenziale, in cui anche i solo apparenti comprimari sono fondamentali per il fraseggio che porta a quel colpo di pistola lontano dagli occhi degli spettatori.
Attori, insomma, come membri di un’orchestra con voci distinte, a tratti inconfondibili, ma che dovrebbero fondersi guidati dall’abile mano del regista.
Un testo quello del Gabbiano che ha saputo vincere sul trascorrere del tempo, restando sempre attuale grazie alla capacità di Cechov di cogliere e restituire le mille sfumature universali dell’animo umano, ma anche e soprattutto dell’anima russa. Quella dusha che rende Nina e Masha, Kostja e Sorin e tutti gli altri personaggi esattamente ciò che sono.
Onestamente è proprio quest’anima, così peculiare, che mi sembra mancare nello spettacolo del Teatro Nazionale di Genova, in maniera soprattutto evidente nei personaggi “minori”, come nel classico dialogo iniziale tra Masha e Medvedenko ridotto quasi a uno sketch.
E i toni appaiono in qualche caso forzati, le voci degli attori non si amalgamano come dovrebbero, con un Kostja talvolta sopra le righe e una Nina eccessivamente svagata.
In qualche momento l’interazione sul palcoscenico scade nella caricatura e si perde quel fondo di amarezza, a tratti insostenibile, che si cela anche nel riso.
Ho visto più volte rappresentare Il gabbiano sui palcoscenici russi, nella maniera più classica o con qualche azzardata rilettura, ma l’ironia è sempre rimasta sottile, più straziante che sguaiata, lasciando trasparire la tristezza, se non addirittura la pietà, per i tanti voli spezzati che si susseguono sulle rive di quel lago in campagna.
Forse ciò che è mancato davvero alla rappresentazione al Sociale è stata la capacità di coinvolgere autenticamente il pubblico, di creare empatia, di rendere palpabile la sofferenza del vivere che farà dire a Nina “la cosa più importante […] non è ciò che io sognavo, bensì la capacità di sopportazione”.

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Il gabbiano
Di Anton Cechov
regia Marco Sciaccaluga
produzione Teatro Nazionale di Genova
Dove: Teatro Sociale
http://www.centroteatralebresciano.it/
Per approfondire:
Il gabbiano* nella traduzione storica di A. M. Ripellino, Cechov. Teatro* con traduzioni di G. P. Piretto; L’anima russa* spiegata da Virginia Woolf