Una sera a teatro: Astronave Italia. Meditazione teatrale

Colonna sonora: (io avrei scelto il Primo movimento, Concerto brandeburghese no. 2 in Fa), ma per fedeltà al testo teatrale diciamo Johnny B. Goode di Chuck Berry.

Una delle caratteristiche più spiccate del Festival Wonderland è senz’altro quella di promuovere un teatro immersivo, l’altra, che credo ciascuno viva più soggettivamente, è quella di riuscire a creare una sorta di comunità attorno ad ogni spettacolo, che si ritrova prima che si alzi il sipario, in cui gli sconosciuti seduti nelle poltrone accanto non sono estranei, ma quasi complici in una sorta di rito collettivo.
Ecco proprio quest’ultimo elemento pensavo sarebbe stato impossibile da ricreare a distanza, quel senso di curiosa aspettativa che precede la prima battuta.
Invece, grazie anche a una buona strategia di comunicazione, l’impressione è stata davvero quella di vivere “una sera a teatro”, complice anche quel manuale di volo che segna l’inizio di un vero e proprio conto alla rovescia.

Ma andiamo con ordine.
Quali sono gli ingredienti della performance che ci propone Teodoro Bonci del Bene?
Innanzitutto un falso storico, il celebre Voyager Golden Record è tornato sulla terra, ma nessuno riconosce il suo contenuto.

E poi le voci.
Voci che raccontano storie diverse che si mescolano, sovrapponendo passato e presente, fantasia e realtà, i confini dell’impossibile e quelli delle mura domestiche, voci che ci guidano in uno strano viaggio, che ci spingono verso orizzonti lontani e sconosciuti e ci ancorano al contempo al qui e all’adesso.
L’espediente del gesto ripetuto, la pratica del respiro.
Poi ancora una finestra da cui volare via, un’amaca fatta di nuvole, il sogno di un bambino e i racconti di un anziano, e, soprattutto, un’astronave, l’Astronave Italia, a cui ognuno degli spettatori – o forse sarebbe più corretto dire degli ascoltatori – darà fisicamente forma e significato.

La mia di astronave è proprio bruttina, a testimonianza che disegno non è mai stata la mia materia. Al tratto della matita ho sempre preferito la parola, ma mi fermo qui. Non racconterò nulla di più, per lasciare a chiunque leggerà queste righe e salirà sull’astronave la sorpresa di non sapere dove, dopo aver chiuso gli occhi, sarà trasportato da questa meditazione teatrale. Anche se ho l’impressione che, in fondo in fondo, nessuno arriverà esattamente nello stesso luogo, nello stesso spazio, nello stesso istante.

Nonostante tutto, ancora una volta, Festival Wonderland è riuscito a stupire e convincere, a offrire al suo pubblico (che spero sarà ancora più numeroso del solito, anzi perché non approfittare della possibilità di regalare una serata diversa anche agli amici per forza di cose lontani?) un assaggio di quell’appuntamento che, anno dopo anno, per molti è diventato imperdibile.

Piè di pagina
Astronave Italia. Meditazione teatrale
Regia e drammaturgia di Teodoro Bonci del Bene
Voci di Teodoro Bonci del Bene, Carolina Cangini, Jacopo Trebbi
Produzione Babilonia Teatri
Musiche di Lorenzo Scuda
Dove: A casa propria
Biglietti

Dietro le quinte – Wonderland Festival: l’organizzazione

Raccontavo in un altro post dell’impazienza con cui aspetto la locandina di Wonderland Festival ogni autunno, ma certamente è la scoperta del programma a riservare sempre le maggiori sorprese.
Ormai è una sorta di rito, aprire il sito, leggere la sezione “Fil rouge” e poi, mano al calendario, scegliere gli spettacoli.
Resta però la curiosità di capire come nasce davvero un festival così articolato, capace di condensare in un paio di settimane spettacoli molto diversi eppure legati da un filo sottile, di raccogliere compagnie e attori delle più disparate provenienze superando anche eventuali barriere linguistiche. E questa volta ho sfruttato la disponibilità a sedersi per fare due chiacchiere di Emma Mainetti, Direzione organizzativa e di produzione che mi ha permesso, virtualmente, di accompagnarla dietro le quinte.

Il punto di partenza è il nome. Di chi è stata l’idea di legare il festival a “Wonderland” – tra parentesi un nome azzeccatissimo vista la sensazione di immergersi proprio in un paese delle meraviglie che personalmente mi spinge a tornare, stagione dopo stagione, ad aspettare che si alzi ancora una volta il sipario. E ovviamente questo non può che portare a chiedere come è nato il festival.
Il nome Wonderland Festival nasce nel 2012, ma il festival in sé, o almeno il suo primo antenato, era già nato nel 1998 e si chiamava Brescia tra Fiabe e Contaminazioni. Si trattava di un festival biennale, molto diverso da quello che vediamo ora, sicuramente più piccolo, come più piccoli eravamo anche noi. Io infatti non c’ero ancora…l’idea è stata di Davide D’Antonio e Giovanni Zani, fondatori e tuttora direttori di Residenza IDRA.
Brescia tra Fiabe e Contaminazioni lavorava sul tema delle fiabe per adulti, con gli anni poi il tema si è ampliato e il festival è diventato annuale, nel 2012, trasformandosi in Wonderland. Il legame con la fiaba si è attenuato ma ci piaceva mantenere un senso legato al “Paese delle Meraviglie” che è un po’ quello che ogni anno cerchiamo di creare.
Personalmente sono arrivata a far parte del festival nel 2013 e sono quindi testimone diretto solo delle edizioni dal 2013 in poi. In questi anni il festival è cambiato molto, è cresciuto e si è trasformato ulteriormente. Le edizioni 2012-2013-2014 erano ancora molto lunghe, si parlava di circa uno o due mesi di programmazione limitata ai fine settimana, una via di mezzo tra una piccola stagione e un festival insomma.
La svolta è avvenuta nel 2015, il festival è stato riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali, si è spostato da febbraio a novembre e ha preso la forma attuale: due settimane di programmazione intensissima, eventi collaterali, convegni, dopofestival…tutto quello che anche oggi ci caratterizza e che ogni anno si sviluppa sempre di più prendendo nuove forme.

La seconda domanda credo che sia stata posta innumerevoli volte, è un po’ una sorta di “è nato prima l’uovo o la gallina?” applicato ad ogni edizione del festival. Se pensiamo al programma e a quel fil rouge a cui accennavo prima, che costituisce una chiave di lettura, una bussola per orientarsi nel calendario delle rappresentazioni e degli eventi, è spontaneo riflettere su quale sia il fondamento. Qual è il punto di partenza su cui si costruisce la stagione, attorno a cui ruota tutto? In termini di processo creativo, viene insomma prima la selezione del tema – poi riassunto nel claim – o la considerazione degli spettacoli disponibili? O forse è sbagliato già pensare al concetto di “spettacoli disponibili”, perché talvolta nascono già in qualche misura per Wonderland?
Anche in questo caso la svolta è stata data dal passaggio ministeriale. Il Ministero richiede agli organizzatori di avere una visione triennale del festival. Così, il primo triennio, dal 2015 al 2017, la decisione è stata quella di lavorare ogni edizione su un tema diverso sul quale costruire un fil rouge attorno a cui far ruotare gli spettacoli.
In questo caso ciò che nasce prima è il tema, l’urgenza, l’argomento di cui sentiamo sia in quel momento necessario parlare. I tre temi scelti dalla direzione artistica in quegli anni, che venivano poi tradotti dai claim, erano temi caldi, che sentivamo che il pubblico, gli artisti, la società avevano urgenza di condividere.
Pertanto in qualche modo le due cose si contaminano, il tema detta la scelta degli spettacoli ma anche l’urgenza degli artisti che producono spettacoli su determinati temi fa comprendere che cosa sia importante mettere in luce in quel momento…”Imbraccia la tua arma” nel 2015, “Sedotti, traditi, felici” nel 2016, “Speak the truth!”nel 2017…erano tutti temi che sentivamo importanti e che, in alcuni casi, anche associati alle immagini, hanno suscitato qualche polemica. Per il secondo triennio invece, che è iniziato l’anno scorso e arriverà fino al 2020, la scelta della direzione artistica è stata quella di concentrarci su un genere: il teatro immersivo, che abbiamo iniziato a sondare nella scorsa edizione, con approccio più leggero e che era espresso ironicamente da quel “Non la solita minestra…” ad indicare un nuovo modo di fare teatro in cui lo spettatore è un ingrediente importante e che quest’anno esprimiamo con più forza con il nostro interrogativo “Chi è di scena?”. Per quanto riguarda la scelta degli spettacoli avvengono entrambe le cose che dici: sicuramente Davide D’Antonio guarda al panorama artistico con un occhio di riguardo a quelle compagnie e a quegli spettacoli che indagano nella direzione che interessa al festival ma è anche avvenuto che si “sfidassero” gli artisti a produrre lavori ad hoc, come nel caso dello spettacolo “5 minutes” andato in scena nel 2017 in cui abbiamo chiesto a diversi artisti di produrre 5 minuti di performance ispirandosi ai cinque minuti di tempo che vengono dati alla popolazione palestinese per salvarsi dai bombardamenti in arrivo, e abbiamo prodotto un evento unico per Wonderland.

Negli anni gli spettatori hanno assistito a una evidente evoluzione del festival, non solo specchio dei tempi ma di una autentica crescita, maturazione della rassegna che ha saputo uscire dai confini della città, tanto in termini artistici che di fama. Quanto è stato difficile raggiungere questo obiettivo e quanti sono stati gli eventuali cambi di rotta?
La parte difficile è stata farsi conoscere dal pubblico, riuscire a farlo arrivare da noi per la prima volta. La programmazione del festival è sempre stata ambiziosa, Idra ha da sempre un occhio attento al panorama artistico contemporaneo nazionale e internazionale e ha portato a Brescia proposte e artisti di grande livello che molte volte non erano mai stati qui. Ad esempio i Motus, che, pur essendo tra le compagnie di punta nel panorama nazionale, sono venuti a Brescia per la prima volta nel 2015, nel nostro piccolo spazio di Vicolo delle Vidazze.
La sfida di riuscire a far comprendere al pubblico che il teatro e l’arte performativa contemporanea sono accessibili a tutti e che da noi potevano sperimentarlo è stata la più difficile. Ma tutte le persone che sono venute negli anni sono poi tornate, e sono diventate i nostri migliori comunicatori. Il nostro pubblico è estremamente fidelizzato, quando viene al festival ci torna, difficilmente segue solo uno spettacolo. Il lavoro è stato soprattutto questo, credere in quello che portavamo avanti e non demordere. Siamo cresciuti molto anche grazie al pubblico che ci segue.

Quest’anno una produzione Residenza IDRA in collaborazione con Image Collective per la regia di Davide D’Antonio si intitola Andare verso, un percorso itinerante e un omaggio alla nostra città. Dove sta andando Wonderland Festival? Dove vi immaginate tra, diciamo, cinque anni? Personalmente spero, fedele al nome che ho scelto per il mio blog, anch’esso un inno al cammino, che il viaggio sia ancora molto lungo…
Sicuramente lo speriamo anche noi…il Festival è uno dei progetti più importanti che IDRA porta avanti.
Dove saremo tra cinque anni è difficile dirlo. Purtroppo anche noi, come tutti coloro che lavorano nella cultura ed in particolare nel teatro, viviamo di costante precarietà. Sogni e visioni si scontrano costantemente con il limite delle prospettive politiche ed economiche. In Italia la prospettiva più lunga in termini di programmazione è triennale, dopo di che tutto si sospende in attesa che venga definito il triennio successivo.
Io credo che Wonderland abbia dimostrato negli anni una crescita costante, sia in termini di programmazione che di pubblico e che questo gli garantisca un cammino futuro agli occhi delle istituzioni. Ma nessuno può dirlo con certezza. Quello che possiamo dire con certezza è che noi continueremo a lavorare per portarlo avanti e farlo crescere, come abbiamo fatto fino ad ora.

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Wonderland Festival
Dove: Brescia, sedi varie
Quando: dal 16/11 al 1/12 2019
Come: info e biglietti su http://www.wonderlandfestival.it/prenotazioni/

Una sera a teatro: Calcinculo

Teatro pop, teatro rock, teatro punk.

Anche quest’anno è arrivato il momento di commentare il primo spettacolo che abbiamo scelto nel cartellone di Wonderland Festival.
Una doverosa premessa, se fosse stato per me, non lo avremmo visto – sono sempre un po’ sospettosa quando le opere hanno una forte componente musicale – e me ne sarei molto pentita. Invece, grazie a una decisione “del collettivo” mi sono trovata a godere tutti i 60 minuti di Calcinculo, davvero “uno spettacolo dove le parole prendono la forma della musica. Dove la musica prende la forma delle parole”, e applaudire convinta una compagnia che non vedo già l’ora di rivedere all’opera.

Non sono solo canzonette, anzi.
Babilonia Teatri porta nello Spazio Teatro Idra una pièce che vive di contaminazioni e rimandi, in cui la musica è elemento essenziale per dare corpo a un autentico fiume di parole, la drammaturgia in prosa, a un flusso disordinato e irrefrenabile che sembra scaturire senza filtri, a tratti senza neppur una logica apparente, irrazionale come le paure e le fobie enumerate da Castellani, che sono invece, ne sono certa, assolutamente reali per molti spettatori.

Contrappunto e melodia, i frammenti delle storie narrate (o forse sarebbe meglio dire di un’unica storia, quella del nostro quotidiano) si sviluppano in un gioco di contraddizioni, i ritornelli pop non nascondono la profondità dei temi trattati, non mascherano l’invio a riflettere, a confrontarsi con temi forti, a (ri)prendere una posizione dopo che i miti e le convinzioni hanno subito l’ineluttabile trascorrere del tempo, come sottolineano gli autori con una delle immagini più poetiche e contemporaneamente più amare dell’intero copione, quella dello scotch usato per fissare i manifesti di Che Guevara sul muro che cede appunto al tempo e alla forza di gravità.
Sul palco, volutamente scarno, con pochi elementi per non distogliere l’attenzione dal testo, dalla sua reale comprensione, scorre un collage di miserie umane, di nodi irrisolti. Presente e passato, rock e pop, leggerezza contro il peso delle idee, spensieratezza e parole come pietre, perché non stiamo facendo un altro giro su una giostra a cavalli, ma siamo su un calcinculo con tutte le sue emozioni contrastanti.

In questo vortice si riesce anche a ridere, si è coinvolti in una ricerca delle citazioni, musicali e non, ci si lascia cullare dalle note e dall’illusoria lievità delle mossette della cantante, mentre si viene schiaffeggiati dai testi delle canzoni.
L’ironia smorza i toni, ma è uno sguardo disincantato sulla realtà a prevalere, portando anche l’inaspettato concorso di bellezza in cui il pubblico è chiamato a votare ad assumere forme grottesche.
Nel complesso uno spettacolo forte, tagliente, che costringe a guardare dentro se stessi oltre che a ciò che ci circonda, che invita a non cadere nella (autoconsolatoria) illusione che “così vanno le cose, così devono andare”, a ritrovare la capacità di sognare e che regala, grazie alla convincente prova d’attore e a un testo da masticare lentamente e digerire, un ottimo esempio di teatro “schierato”.

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Calcinculo di e con Enrico Castellani e Valeria Raimondi
e con Luca Scotton
Produzione Babilonia Teatri
Musiche di Lorenzo Scuda
Dove: Spazio teatro IDRA, Festival Wonderland 2019

Dietro le quinte – Wonderland Festival: la comunicazione

Per alcuni la primavera è la stagione del nuovo inizio, per me invece è l’autunno visto che riapre la stagione teatrale.
E da diversi anni novembre è il mese in cui nei luoghi più diversi della città appaiono i manifesti di Wonderland Festival, immagini in cui cerco di cogliere qualche anteprima del calendario di spettacoli, di quel fil rouge che li lega.
Con il passare del tempo il festival teatrale e la sua espressione “grafica” sono diventati sempre più legati, quasi inscindibili e mi sono chiesta spesso come funzioni il processo creativo che porta alla scelta dei materiali per la comunicazione e quanto conti proprio la comunicazione per una rassegna come Wonderland, che ha fatto del suo essere “altro” nel panorama culturale bresciano, e non solo, la propria cifra stilistica.
Per soddisfare questa e molte altre curiosità ho deciso di rivolgermi alla fonte, facendomi accompagnare in un viaggio attraverso le locandine da Walter Spelgatti, responsabile Ufficio stampa e comunicazione, che ringrazio sin d’ora per la disponibilità.
Partiamo dal 2015, pietra miliare nella storia di Wonderland e anno in cui l’immagine– e la comunicazione in senso lato – diventa assolutamente distintiva, detta il tono e l’atmosfera di quello che il pubblico vedrà sulla scena, e si impone, di pieno diritto, come un elemento del programma.

L’immagine del soldato al pianoforte è davvero forte, così come sarà forte, pressante l’invito che riecheggia nei diversi spettacoli a schierarsi, a prendere posizione, metaforicamente a “imbracciare la propria arma”.
Un punto di svolta, a mio parere, nella strategia comunicativa in cui l’elemento grafico, visuale, si sposa con la parola, la sottolinea, la incarna. Da quel momento le locandine del festival vivranno sempre di questa dualità.
Lo si vede bene nel 2016 che segna l’inizio della proficua, e perdurante, collaborazione con Dorothy Bhawl che con le sue opere contribuisce a creare la veste esteriore del festival, rendendola assolutamente riconoscibile seppur nuova a ogni stagione.

Dopo l’ironica e grottesca rivisitazione di Alice nel Paese delle Meraviglie è la volta di un’implacabile Regina di Cuori…

… per arrivare al mondo del fumetto con Gargamella nel 2018.

Come nasce questa collaborazione?
La collaborazione con Dorothy nasce da un colpo di fulmine.
Eravamo alla ricerca della nuova immagine del festival il cui claim era “sedotti, traditi, felici…”. Come al solito lavoravamo di brain storming, scambiandoci impressioni e suggestioni che il tema ci dettava. E come al solito faticavamo a trovare una linea, un’immagine dalla quale ci sentissimo tutti rappresentati e che ci mettesse tutti d’accordo. Fino a che, nelle nostre ricerche, è comparsa lei. L’immagine di Alice che cavalca un particolarissimo Bianconiglio in un’atmosfera da party un po’ decadente ma festoso. Ci rappresentava, esprimeva ciò che volevamo dire in quel momento. Era forte, ironica, artistica. E ci siamo innamorati, di quell’immagine e del suo autore, Dorothy Bhawl, che per la prima volta ci aveva fatto battere il cuore all’unisono. Abbiamo deciso di contattarlo e Dorothy è stato da subito entusiasta di intraprendere questa nuova collaborazione che prosegue e cresce di anno in anno. Non ci siamo più lasciati.
Dicevamo prima di come immagine e claim siano l’ottimo completamento del cartellone del festival. Potrei dire quasi una sorta di trailer cinematografico, un antipasto che stuzzica l’appetito. E proprio questa corrispondenza risulta particolarmente affascinante, un esempio di comunicazione perfettamente riuscita. Ma qual è l’elemento di partenza, il testo o la fotografia? E come si arriva alla composizione definitiva, quale è il processo?
Dare una successione definita a questo complesso processo non è facile. L’immagine di Dorothy è un’immagine che parla da sé. È comunicativa, fortemente descrittiva e allo stesso tempo veicolo di messaggi importanti. La fotografia aiuta molto nella creazione di un racconto fortemente identitario del festival.
Wonderland sta diventando sempre più in festival che segna un percorso, che anticipa dei messaggi forti che diventano “pop” grazie alla perfetta sinergia tra l’arte del fotografare e l’arte del comunicare.
Ma la comunicazione non è solo immagine. “Imbraccia la tua arma”, “Sedotti, traditi, felici”, “Speak the truth”, “Non la solita minestra” fino all’ultimissimo “Chi è di scena?”. Ogni parola ha un suo peso, un suo posto specifico. In questi claim nulla è ridondante, la concisione come valore. Anche questo è un elemento ricorrente, identificativo, fortemente studiato. Oppure no?
Il claim di Wonderland è assolutamente studiato, pensato in ogni punteggiatura. L’immagine ispira il claim, che allo stesso tempo viene pensato in funzione della direzione artistica degli spettacoli in cartellone.
Il “Chi è di scena?” di quest’anno è un esempio che calza perfettamente.
Il punto di domanda non è casuale. Nel “richiamo” agli attori dietro il sipario prima dell’inizio dello spettacolo non c’è un punto di domanda. È una chiamata. Noi abbiamo aggiunto un interrogativo. “Chi è di scena?” non è più una chiamata ma una vera e propria richiesta, come una provocazione. Si chiede al pubblico chi vuol essere di scena. O secondo loro chi è di scena, in un festival pensato proprio nell’ottica di un modo di vivere il teatro completamente nuovo: lasciando al pubblico la scelta se entrare nella scena o stare a guardare…

Guardando la splendida immagine scelta per il 2019 – che si lascia decisamente alle spalle i rimandi al paese delle meraviglie, o forse no visto il sottile gioco di specchi e rimandi, restano due domande. Rivedremo mai i personaggi di Lewis Carroll e, soprattutto, quanto conta la comunicazione per una realtà come Wonderland Festival, a Brescia (città che per molto tempo è stata accusata di essere provinciale, nemica della cultura, poco aperta alla sperimentazione e alle novità), in Italia e all’estero?
La comunicazione di Wonderland è fondamentale.
Ormai l’immagine di Wonderland è diventata iconica. Tra le comunicazioni più attese dell’anno.
Il pubblico ci chiede quale sarà la nuova immagine, quale claim abbiamo pensato per provocare la città sul nuovo teatro che ogni anno proponiamo.
Siamo consapevoli che il festival è complesso e di non facile “accessibilità”, per questo per il comparto comunicazione è importante trovare la modalità affinché il pubblico si avvicini e si incuriosisca.
Una volta superato questo “ostacolo” tutto è in discesa: Wonderland è un festival divertente e coinvolgente. Un festival che porta in scena messaggi attuali e dirompenti. Un’occasione per riflettere e provocare nuove riflessioni. E farlo attraverso il teatro, ci siamo accorti, è l’occasione più bella e soddisfacente che ci sia! Basta avere il coraggio di entrare in scena…

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Wonderland Festival
Dove: Brescia, sedi varie
Quando: dal 16/11 al 1/12 2019
Come: info e biglietti su http://www.wonderlandfestival.it/prenotazioni/
Dorothy Bhawl è in mostra al Ma.Co.f fino all’11/12/2019 con aperture straordinarie per il pubblico di Wonderland giovedì 21/11 e sabato 30/11 fino alle 21.

Una sera a teatro: me.me.do. Meccanica del melodramma dozzinale

Penso di aver capito. Un uomo che dice a se stesso cose sensate non è più pazzo di un uomo che dice ad altri cose insensate (Rosencrantz e Guildenstern sono morti)

Amleto è probabilmente l’opera shakesperiana che ho visto più spesso a teatro, dalle rappresentazioni classiche alle ardite riletture, non sempre apprezzabili, da parte di compagnie teatrali più o meno note, mentre Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard rientra in quel ristretto elenco di opere che mi spingono a comprare il biglietto dello spettacolo quasi a prescindere da ogni altra considerazione.
me.me.do – la meccanica del melodramma tradizionale era quindi un appuntamento che aspettavo con un misto di curiosità, con grandi aspettative e, onestamente, con un fondo di timore, perché più alte sono le aspettative, più cocente è la delusione se vengono disattese.

Ottimi ingredienti e cottura perfetta per questa “insolita minestra”.

Il Festival Wonderland 2018 si conferma un calderone di progetti interessanti.
Il libero studio dall’opera di Stoppard proposto dal Collettivo Andrico/Apostoli/Palazzo/Strada/Turra, gruppo di artisti bresciani riunitosi per la prima volta in occasione del Festival Wonderland 2018 è uno spettacolo pienamente riuscito, divertente senza mai essere sguaiato. Uno “Stoppard che non è Stoppard”, ma in cui si respira sotto sotto quella stessa aria di straniamento che accompagna nell’originale le vicende dei due gentiluomini, che furono relegati dal Bardo a un ruolo di mere comparse e poi promossi, finalmente, protagonisti restando tuttavia alla mercé del caso e all’oscuro dei disegni altrui.
Sono passati molti anni dalla sua data di pubblicazione, ma il testo, nella rilettura del collettivo, mantiene tutta la sua freschezza, la capacità di sorprendere e far riflettere su una condizione umana eterna e immutabile con una buona dose di levità. E proprio questa levità è accentuata dal collettivo, con i toni e i cambi repentini di registro e, soprattutto, con il sapiente ricorso al cambio degli occhiali per dar vita agli altri personaggi da parte di Antonio Palazzo, proponendo una chiave di lettura interessante. Uno studio quello che si sviluppa sotto gli occhi degli spettatori che diventa a tratti pop, in cui è la lingua stessa a essere svecchiata oltre ai costumi, ancora una volta con mano leggera.
I tempi comici, la capacità di leggere la posizione degli altri attori nello spazio e di sostenere un ritmo collettivo più che individuale – fino al finale in puro stile british – rispecchiano il grande lavoro di preparazione, del dietro le quinte che ha preceduto questa prima (replica) nazionale.
I calorosi applausi del pubblico sono quindi ampiamente meritati, per la messa in scena e, direi, anche per il coraggio di avere osato una rilettura che non cade in quei meccanismi per strappare una risata ormai abusati, dal sapore stantio che sembrano spesso connotare le “opere ispirate a”. Si esce dalla sala con il sorriso e certo con la voglia di vedere dove ci porterà ancora il collettivo.


@xxx courtesy of Festival Wonderland / Residenza IDRA

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me.me.do. Meccanica del melodramma dozzinale. Libero studio da Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard
Collettivo Andrico/Apostoli/Palazzo/Strada/Turra
in collaborazione con Residenza IDRA (Brescia)
Dove: Spazio teatro IDRA, Festival Wonderland 2018
Quando: 30 novembre 2018
http://www.wonderlandfestival.it/

Una sera a teatro: Dove tutto è stato preso

Ogni anno aspetto con curiosità di vedere le proposte del Festival Wonderland, una rassegna che per due fine settimana consecutivi trasforma Brescia in una delle capitali del teatro contemporaneo. Dalla scoperta del cartellone – come sempre complimenti a chi lo ha ideato, perché anche per questa edizione ha fatto assolutamente centro – alla scelta degli spettacoli, l’intero processo è ormai diventato quasi un rito autunnale.

Vi è mai capitato di pensare che uno spettacolo sia fatto proprio per voi, che racconti non una storia, in cui in qualche misura potete riconoscervi, ma proprio una parte della vostra storia? Beh, a M. e a me è successo con Dove tutto è stato preso, progetto vincitore del Bando Progetto CURA 2017.
Il casale di cui discutono i protagonisti senza nome, quasi a volerli rendere universali, davanti a una delle tante cene improvvisate di chi ha sempre meno tempo a disposizione per tutto ciò che non è lavoro, lo avevamo trovato davvero, lo abbiamo persino vissuto per un breve periodo, prima che decisioni altrui ci obbligassero a lasciarlo. E con il casale avevamo ritrovato la voglia di fare, anzi di essere comunità, un po’ a modo nostro certo, ma con tanti sogni, con tutti quei conti “al metro quadro”, la ricerca dei possibili compagni d’avventura e con tanti semi raccolti e conservati, per piantarli in quello che sarebbe stato il nostro orto futuro.
E sì, è vero che i nostri sogni avevano i tarli, e proprio come la casa abitata da Bartolini e Baronio anche il nostro casale aveva i tarli, tanti, famelici, costantemente all’opera.
Insomma, sulla scena ho rivisto una piccola porzione del mio vissuto, ma con occhi nuovi, seguendo i fili, anche luminosi e sonori, ben tessuti dai due attori che riescono a mantenersi in equilibrio tra il troppo e il troppo poco, l’urlato e il sussurrato, il non detto e quell’approccio eccessivamente didascalico, dove tutto deve essere spiegato, dove pare necessario prendere il pubblico per mano e condurlo verso un punto preciso, verso una convinzione, un credo, una qualche forma di verità.
Qui non si narrano storie epiche né si propongono soluzioni magiche, al pubblico si presentano piuttosto spunti di riflessione, sull’oggi e sul futuro, su un’emigrazione (o immigrazione) probabilmente da ripensare fin dalle sue fondamenta, con richiami forti all’elemento sociale.
La narrazione è sorretta dal gioco di luci, dall’uso sapiente dei pochi elementi scenici che concorrono a creare un’atmosfera rarefatta, dove davvero “tutto è stato preso”, anzi forse non proprio tutto, perché resta sempre la possibilità di una rinascita, di veder crescere quei semi che si sono anche inconsapevolmente gettati.
L’unico aspetto che non mi ha interamente convinto è il finale, che ho trovato poco organico rispetto al resto dello spettacolo, con l’inserimento dell’elemento video lievemente forzato, così come il tono e il registro delle ultime battute, ma nel complesso sono contenta di poter ripetere anche quest’anno che il Festival Wonderland si è per me aperto in positivo e che aspetto il prossimo fine settimana per scoprire nuove compagnie, vivere nuove emozioni, seguendo un teatro che, come scrivono gli organizzatori, “sembra continuamente sul punto di morire, salvo poi rigenerarsi in forme sempre nuove e creative in quanto accetta la sfida dei nostri tempi e i cambiamenti che ne conseguono”.


@Chiara Gavuzzi courtesy of  Residenza IDRA / Festival Wonderland

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Dove tutto è stato preso di e con Tamara Bartolini/Michele Baronio
produzione Bartolini/Baronio | 369gradi
coproduzione Teatri di Vetro Festival/Triangolo Scaleno Teatro
con il supporto di Residenza IDRA (Brescia) e Armunia (Castiglioncello) nell’ambito del progetto CURA 2017
Dove: Spazio teatro IDRA, Festival Wonderland 2018
Quando: 24 novembre 2018
http://www.wonderlandfestival.it/
Per prenotare i biglietti dei prossimi spettacoli: http://www.wonderlandfestival.it/prenotazioni/ oppure www.vivaticket.it