Festival della Fotografia Etica 2021

Tanto bianco e nero, tanti scatti che vivono di contrasti.

Dodicesima edizione, e quarta per il collettivo indirezionenoncasuale, del Festival della Fotografia Etica di Lodi che ospita quest’anno 20 mostre e che porta i visitatori nei luoghi simbolo del festival, ma anche nei giardini pubblici e nei cortili.
Come di consueto accanto al festival si svolge FFE-OFF, un circuito che, come già accaduto in passato, ci ha regalato qualche sorpresa.
Ancora una volta ho scelto di raccontare le mille facce di questa manifestazione scegliendo i momenti, gli scatti, le mostre che più mi hanno che mi hanno stupito, affascinato, fatto riflettere, emozionato…

Due considerazioni iniziali.
La prima è che guardare le fotografie di Mattia Marzorati ne “La terra dei buchi”, progetto tra i vincitori dell’Open Call Reset 2021, categoria Call for Pictures, è stato particolarmente difficile.
Non perché ignorassi la situazione ambientale in cui versa la mia città, né perché io abbia scelto di filtrare la realtà che mi circonda, che vivo tramite l’aria che respiro, indossando degli occhiali rosa, ma perché gli scatti sono autentiche pietre, più delle mille parole che leggiamo sui giornali, mostrano le ferite del territorio, lasciano intravedere il futuro di una città che molto ha sacrificato sull’altare della cosiddetta crescita economica.
La seconda è che, nel complesso, questa edizione non mi ha entusiasmato, non ho trovato quell’effetto “wow” che, in un certo senso, ormai mi aspettavo e non ho completamente compreso, né condiviso, la scelta di premiare lo stesso fotografo nelle categorie Master e Short Story del World Report Award, così come non mi ha convinto la fotografia vincitrice della sezione Single Shot, uno scatto senz’altro tenero, ma direi “già visto”, non particolarmente originale per tema o composizione.

Sicuramente uno dei reportage che più mi ha colpito è The new name of death realizzato da Farshid Tighehsaz e che, penso, avrebbe meritato il primo posto nella categoria Master per la poesia e lo sguardo con cui racconta la pandemia in Iran, riuscendo a trasmettere in modo convincente, quasi fisico, il senso di perdita, di incertezza e di isolamento, grazie a “un’esplorazione profonda di quegli aspetti della realtà che sono completamente scomparsi nella cronaca giornalistica”.
Piccole storie quotidiane narrate in bianco e nero, attraverso gli sguardi, i gesti, una sensazione di assenza palpabile per degli scatti che fanno riflettere e che si concentrano su un paese di cui si parla troppo spesso solo in termini della sua situazione politica.

Torna Jasper Doest che dopo essere stato protagonista nel 2020 con il suo Flamingo Bob in cui raccontava le avventure del fenicottero Bob, il pennuto divenuto simbolo di un ente benefico per la conservazione della fauna selvatica sull’isola di Curaçao, passa a un soggetto, sempre alato, probabilmente molto meno nobile, almeno nell’immaginario collettivo, del suo illustre predecessore, il piccione.
Ancora una volta il fotografo si rivela maestro dello storytelling, miscelando diversi linguaggi narrativi per far vivere al pubblico una storia d’amore inconsueta all’epoca della pandemia, tra la sua famiglia e una coppia di piccioni selvatici – che poi forse così selvatici non sono.
La doverosa premessa è che uno dei componenti del collettivo ha un autentico terrore di colombi e piccioni, così come dei pavoni e delle galline, quindi l’impatto iniziale è stato qualcosa del tipo “Non posso guardarle queste foto”, ma il talento di Doest e la sua immancabile ironia sono riusciti a rendere l’esperienza assolutamente piacevole.

Per il secondo anno consecutivo, sulle pagine di questo blog, una menzione speciale spetta all’intera sezione “Uno sguardo sul nuovo mondo” che racconta i molteplici aspetti della storia recente, in giro per il mondo, attraverso gli occhi e le lenti di diversi fotografi di AFP (Agence France Presse), “un’area espositiva per conoscere la realtà, per comprenderla e cambiarla” nelle intenzioni degli organizzatori.
Fotografie per riflettere, fotografie per non dimenticare.
In questa edizione si passa dalla democrazia in bilico negli Stati Uniti (con alcune delle immagini che credo abbiano portato un’America diversa nelle nostre case) alla Siria, piagata da 10 anni di conflitto armato. Alcuni degli scatti di questa sezione, realizzati da fotografi inizialmente non professionisti, fanno emergere tutto il contrasto di un’esistenza sempre sospesa tra paura e voglia di normalità.

E proprio il contrasto, la giustapposizione tra ordinario e straordinario, sembra essere una delle chiavi di lettura di questo festival.
Alcune delle immagini che mi hanno più colpito sono proprio il frutto di due universi che collidono, una ragazza che festeggia la sua quinceañera tutta agghindata di fronte al muro tra Stati Uniti e Messico, una foto di una foto in cui il passato con le sue bellezze architettoniche è andato perduto per sempre, un giovane su un hoverboard di fronte allo scheletro di un edificio, in stato di abbandono, un paio di scarpette rosse luccicanti abbandonate nel delta dell’Arkansas probabilmente da una Dorothy che non vedeva l’ora di fuggire da un luogo senza più futuro.

Per finire del circuito OFF ho apprezzato particolarmente la mostra di Stefano Fristachi, che rilegge la comunicazione pubblicitaria tradizionale, fatta di manifesti incollati per le strade, a fronte dello scorrere del tempo.
Nella nostra nuova realtà “digitale” progressivamente i cartelloni hanno perso di rilevanza, lasciando solo tracce, residui, frammenti di carta strappati. Un punto di vista interessante per una serie di scatti in cui è la decadenza a essere protagonista.

Piè di pagina
Dove: Lodi, sedi varie
Quando: il fine settimana fino al 24 ottobre, dalle 9.30 alle 20. Tutte le mostre esterne sono prive di illuminazione artificiale.
Come: biglietto intero 15 euro (+ 1 euro di commissione) acquistabile online. Ogni weekend sarà comunque possibile acquistare il biglietto anche in biglietteria al costo di 19€.

Festival della Fotografia Etica 2020 – Circuito OFF

Aprire le porte, spalancare i portoni, per andare oltre…

Sulle pagine del blog abbiamo già visitato il Festival della Fotografia Etica, ora è arrivato il momento di passare al Circuito OFF che nelle altre edizioni avevo trascurato. Per raccontarlo ho scelto ancora una volta di stilare una classifica delle mostre che mi hanno più colpito.
Stili diversi per temi diversi, ma un sottile fil rouge a legare tutti i lavori, la capacità di portarmi direttamente in paesi lontani, di farmi uscire per un attimo dai confini nazionali che, forse in maniera irrazionale, iniziano a stare un po’ stretti.

Il progetto fotografico di Valter Darbe, I was my husband, trasporta i visitatori in un’India diversa da quella così colorata che tutti siamo abituati a vedere.
Gli scatti in bianco e nero, ospitati nello Spazio Castellotti, raccontano la storia delle vedove indiane, della loro identità perduta alla morte del coniuge, come se la loro intera vita perdesse di rilevanza, come se davvero l’esistenza di ciascuna di loro dovesse esaurirsi in un lutto interminabile. “Ero mio marito”, senza possibilità di essere nulla di diverso, nulla di più, nulla prima o dopo.
L’occhio del fotografo, sempre rispettoso, porta in primo piano la condizione di queste donne che hanno perso praticamente tutto, che sono spinte ai margini della società, reiterando un fenomeno di cui ho sentito spesso parlare anche durante la mia scoperta del subcontinente indiano, ma che onestamente non riesco a comprendere.
Nei ritratti gli occhi parlano chiamando ciascuno dei visitatori a riflettere sul proprio posto nel mondo, tristezza e rassegnazione sembrano quasi trasudare dalla carta stampata, vulnerabilità, solitudine ovunque, anche nelle scene corali, infatti, ogni donna è come se restasse comunque sola.

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Altro paese che ho amato moltissimo, il Guatemala, è il protagonista del reportage di Andrea Maini. Qui ci si immerge nei colori, nelle sensazioni della festa dei morti, il dia de los muertos, in cui in realtà si celebra la vita.
Le fotografie esposte sulle pareti bianche del Teatro alle Vigne, così da far risaltare ancora di più tutte le sfumature dei verdi e dei gialli, dei blu e dei rosa, così saturi da sembrare irreali eppure così reali per chi ha avuto la fortuna di partecipare a una festa improvvisata, magari sulle rive del lago Atitlan, sono un omaggio alla tradizione e a un popolo intero, che sceglie di ricordare i propri cari facendo volare aquiloni, adornando le tombe dei defunti, ma anche semplicemente trascorrendo la giornata al cimitero, per sentirsi più vicini a coloro che se ne sono andati e che, si crede, tornino proprio in quel giorno per “controllare come vanno le cose sulla terra”.

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Un altro viaggio, questa volta verso l’Etiopia, alla scoperta delle pitture corporee del gruppo etnico dei Surma.
Le fotografie di Enrico Madini che compongono la serie Surma Bodypainting trovano una collocazione ideale tra i volumi della libreria Libraccio, coinvolgendo il pubblico in una sorta di caccia al tesoro tra i diversi scaffali per scovare tutte le opere.
Ancora una volta sono i colori ad essere protagonisti, dimostrando come questa le decorazioni pittoriche sui corpi siano davvero una delle prime – e probabilmente più autentiche, grazie anche alle materie prime “povere” da cui nascono – forme di espressione artistica dell’umanità.

Piè di pagina
Dove: Lodi, sedi varie
Quando: ogni sabato e domenica dal 26 settembre al 25 ottobre, dalle 9.30 alle 20
Come: le mostre del circuito OFF sono visitabili gratuitamente nei giorni del Festival e negli spazi ed esercizi aperti al pubblico durante la settimana secondo il rispettivo orario di apertura.
https://www.festivaldellafotografiaetica.it/

Festival della Fotografia Etica 2020

La nuova normalità è senz’altro diversa da quella che ci saremmo aspettati anche solo a inizio anno, le mascherine e il gel disinfettante, gli ingressi contingentati, le mille precauzioni che sono diventate parte del nostro quotidiano, tutto è cambiato insomma, ma non la curiosità di vedere la nuova edizione del Festival della Fotografia Etica a Lodi, che, non a caso, ha scelto come sottotitolo di questa undicesima – e onestamente insperata – edizione “Sguardi sul nuovo mondo”.
Nel 2018 scrivevo “In questo grande contenitore di immagini, legate da alcuni fili conduttori, mi sono volutamente persa, lasciandomi avvolgere e coinvolgere dalle fotografie esposte, uscendo dalla mia comfort zone perché non c’è miglior mezzo che vedere per comprendere, per gettare qualche spiraglio di luce su mondi spesso lontani, a tratti spaventosi proprio perché sconosciuti”. E in questo clima di cambiamento è ancora più necessario perdersi nelle fotografie esposte per ritrovarsi, per conoscere, per comprendere.
Come di consueto accanto al festival si svolge FFE-OFF, un circuito di mostre che, come vi racconterò nel prossimo post, ha regalato qualche emozione, mentre la vera novità sono state le gallerie en plein air, nei parchi e giardini cittadini, ma anche in alcuni cortili, come quello del Palazzo della Provincia.
Mi sono chiesta come raccontare le mille facce del festival e ho deciso di scegliere le quattro mostre (più una) che mi hanno stupito, affascinato, fatto riflettere, emozionato…

Herons and otner birds compete for the remains of fish, after that fishermen have cleaned their fishing net. Beach of Bancarios, Rio de Janeiro, Brazil – 11/06/2014 -Bancario is located in the north-east of Ilha do Governador, the largest of the islands of the Guanabara Bay. Many of the fishermen who live in the inner part of the bay using this beach as a landing place, to stock up on food or fuel, or to rest when they stay at sea for more than one day.

Al primo posto della mia personalissima classifica il reportage vincitore nella categoria Terra Madre del World Report Award. Dario de Dominicis, con la sua To the left of Christ , ci porta in Brasile, nella baia di Guanabara, il porto naturale di Rio de Janeiro, nella vita dei pescatori locali, nella loro lotta contro le conseguenze e le limitazioni imposte dalla progressiva e massiccia industrializzazione dell’area.
Malattie e inquinamento, danni permanenti all’ecosistema, impoverimento e avanzata della criminalità organizzata, sono questi gli elementi della storia raccontata dal fotografo, in un bianco e nero aspro, che non lascia spazio né al sensazionalismo né alla retorica.
In questa esposizione ho trovato alcune delle immagini più poetiche dell’intero festival.

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Guardando gli scatti della serie Dispossessed di Mary Turner, vincitrice della categoria Spotlight, si ha l’impressione a tratti di entrare in un quadro di Hopper, con le sue atmosfere rarefatte e quel senso di solitudine che fuoriesce letteralmente dalla tela, e a tratti di osservare una pellicola neorealista.
Il racconto della vita nel nord-est dell’Inghilterra, dopo la crisi dell’industria mineraria, si sviluppa in una “poetica delle piccole cose”, con uno sguardo lucido, pur se quasi affettuoso, sulle difficoltà del quotidiano in una zona che pare destinata a cadere in un’ancora maggiore depressione economica a seguito della pandemia.

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Photo stand for visitors. DEFEXPO 2020 in Lucknow, India

Il terzo gradino del mio podio spetta a Nikita Teryoshin che con il reportage Nothing Personal – the Back Office of War , vincitore della categoria Master, conduce il pubblico letteralmente dietro le quinte delle principali fiere nel cosiddetto settore della difesa.
Colori forti, geometrie accentuate e un’estetica pop sono gli elementi scelti dal fotografo per il suo racconto delle incongruenze e degli eccessi del business della guerra, dove i morti sono manichini o pixel su uno schermo e gli stand sembrano quelli di un parco giochi per adulti, con un intero corredo di spazi per i selfie, fuochi d’artificio, slogan motivazionali e ricchi buffet.

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Bob enjoys a dip in the ocean, breakfasts of caviar and biweekly foot massages on the beach. A charmed life, perhaps, but you could say he deserves it: Bob spends a lot of his time interacting with schoolchildren on his native island of Curaçao, serving as an emissary for conservation.Bob, you see, is a flamingo.

Un soffio di leggerezza, un simpatico protagonista, una storia in cui le parole sono parte essenziale della galleria fotografica.
Strappano davvero molti sorrisi le immagini di Jasper Doest che con Flamingo Bob racconta le avventure del fenicottero Bob, il pennuto divenuto simbolo di un ente benefico per la conservazione della fauna selvatica sull’isola di Curaçao.
Non useremo l’espressione “bellissimo esempio di storytelling” in cui si mescolano diversi linguaggi narrativi, perché uno dei componenti del collettivo indirezionenoncasuale rabbrividisce ogni volta che sente quel termine, ma questa mostra è davvero una bella favola.

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Una menzione speciale spetta all’intera sezione “Uno sguardo sul nuovo mondo” che si articola in cinque percorsi, per raccontare i molteplici aspetti della storia recente, in giro per il mondo, attraverso gli occhi e le lenti di diversi fotografi, “un’area espositiva per conoscere la realtà, per comprenderla e cambiarla” nelle intenzioni degli organizzatori.
Fotografie per riflettere, fotografie per non dimenticare.

Piè di pagina
Dove: Lodi, sedi varie
Quando: ogni sabato e domenica dal 26 settembre al 25 ottobre, dalle 9.30 alle 20
Come: biglietto intero 15 euro (+ 1 euro di commissione) acquistabile online. Ogni weekend sarà comunque possibile acquistare il biglietto anche in biglietteria al costo di 19€.
https://www.festivaldellafotografiaetica.it/

Festival della Fotografia Etica 2018 (parte seconda)

“Tutta la vita delle società in cui regnano le moderne condizioni di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”
(Guy Debord).

In un quadro simile, in un vivere quotidiano dove quasi tutto è rappresentazione, esiste ancora una fotografia etica e un’etica della fotografia?

Aleppo, 2012.
Giovani combattenti dell’esercito siriano di liberazione si lanciano in battaglia
al grido di “Allah Akbar”: “Allah è grande”.
(foto P. Siccardi)

Vedendo le immagini di “Arma il tuo prossimo. Storie di uomini, conflitti, religioni” di Roberto Travan e Paolo Siccardi, ospitate nelle sale di Bipielle Arte, direi proprio di sì. La ricerca – dai Balcani all’Europa e Caucaso, dal Medio Oriente all’Africa – di “quel che resta di Dio nei luoghi in cui si combatte, si soffre, si muore” senza giudizi e pregiudizi, è intensa, cruda, come un grido, tutta giocata sui volti di coloro che, sovente, non camminano ormai più sulla terra, morti per aver combattuto un nemico o essere diventati loro stessi il nemico, esseri umani di cui siamo invitati sin da subito ad avere pietà, senza conoscerne o analizzarne la storia, il passato, il credo.
In terre lontane, non necessariamente fisicamente, ci porta lo spazio “Uno sguardo sul mondo”, a Palazzo Modigliani, dove sulle pareti alla distruzione dello Yemen vista attraverso l’obiettivo di Olivier Laban-Mattei (“Yemen, le rovine di quella che era una volta la “Felice Penisola Araba”) si contrappongono i colori di una Corea sempre all’affannata ricerca di primeggiare che ben conosco e che Filippo Venturi ha colto nel suo progetto “Fabbricato in Corea/Sogno coreano”.

Ed è un sogno collettivo di pace, o quanto meno di normalità, che si rispecchia nelle immagini di Shah Marai  (“Vite afgane”) in quello che è un tributo a un fotografo che purtroppo non potrà più raccontarci del suo Afghanistan diverso, per qualche istante lontano dalla guerra. Invece è un incubo di cemento a trionfare nella raccolta “Vivere sotto una cupa minaccia” di Michele Guyot Bourg . Guardando le fotografie di Genova, scattate alla fine degli anni Ottanta, si prova una sensazione di straniamento, riconoscendo la presenza, oggi assenza, estranea di quel ponte.

Dall’altra parte del mondo si è trasportati anche all’interno dello spazio No Profit, sempre ospitato da Bipielle Arte, dove la riflessione si sposta sulle ingiustizie e disparità sociali che rendono le periferie statunitensi quasi dei gironi danteschi, così come sulle conseguenze delle infinite guerre in Africa.
Ma è stato senz’altro il lavoro di Fausto Podavini per il Water Grabbing Observatory  a togliermi il fiato dinnanzi a ogni singola immagine. Una serie che mescola la poesia dei colori e della composizione delle immagini, alla parola – splendido il titolo originale “And I will make the rivers dry” – alla denuncia degli effetti dei cambiamenti climatici, ma anche della cecità dell’uomo che continua a sfruttare le risorse naturali senza preoccuparsi del domani, di chi ci succederà su un pianeta che avremmo dovuto proteggere.

Kenya. Turkana Lake. 2017. The Ferguson Gulf. Men and children of the Turkana Ethnicity, prepare freshly caught fish in the Gulf of Ferguson for drying. All this area until recently was completely covered by the water of the lake. The Ferguson Gulf is the point of Turkana Lake to have suffered the most environmental impact. Based on publicly available data from the United States Department of Agriculture, Lake Turkana’s water levels have dropped by approximately 1.5 meters since January 2015, and further reduction is likely without urgent efforts to mitigate the impact of Ethiopia’s actions. Human Rights Watch research based on satellite imagery shows that the drop is already affecting the shoreline of the lake, which has receded as much as 1.7 kilometres in the Ferguson Gulf since November 2014. The gulf is a critical fish breeding area, and a key fishing ground for the indigenous Turkana people.

Cosa resterà con me di questo viaggio per immagini? Sicuramente la convinzione che sia necessario scoprire altre realtà, anche solo su una stampa, come antidoto alla chiusura mentale, all’incapacità di accettare l’alterità, la diversità, alla possibilità di perdere la capacità di emozionarsi, indignarsi, ma anche rispondere concretamente quando la fotografia parla (davvero) alla coscienza.

Dove: Lodi
Quando: ogni sabato e domenica dal 6 al 28 ottobre, dalle 9.30 alle 20
Come: biglietto intero 15 euro (valido per tutte le giornate di apertura) acquistabile solo presso la biglietteria in Piazza del Broletto
https://www.festivaldellafotografiaetica.it/
Catalogo disponibile dal 31 dicembre 2018 *

Festival della Fotografia Etica 2018 (parte prima)

Una domenica d’ottobre soleggiata trascorsa a Lodi per visitare il Festival della Fotografia Etica, prendendosi il tempo per passeggiare nel bel centro cittadino e soprattutto per scoprire le diverse mostre che compongono il festival.
“Quando la fotografia parla alle coscienze”, questo è il sottotitolo della manifestazione, giunta ormai alla sua nona edizione e, spero davvero, destinata a una vita ancora molto molto lunga.
In questo grande contenitore di immagini, legate da alcuni fili conduttori, mi sono volutamente persa, lasciandomi avvolgere e coinvolgere dalle fotografie esposte, uscendo dalla mia comfort zone perché non c’è miglior mezzo che vedere per comprendere, per gettare qualche spiraglio di luce su mondi spesso lontani, a tratti spaventosi proprio perché sconosciuti.

 

Colombia, Puerto Giraldo, two hours from Barranquilla, 30/04/2014.
Within an intensive breeding for caimans.
An operator performs the cuts on the skin of a caiman just shot down.
This delicate process takes place in several steps. The alligators are killed by a cut on her neck made by hand with a knife, the killing is done by a specific operator, responsible only to this task.

Come primo assaggio le tre mostre ospitate nello Spazio tematico nell’ex chiesa di San Cristoforo, lasciano subito intendere il tono della giornata. Con “Il prezzo della vanità” Paolo Marchetti  colpisce il pubblico allo stomaco, con fotografie forti, disturbanti, difficili da guardare per quel loro ritrarre l’inutile violenza dell’uomo sugli animali che sembra ancora più inumana inserita in uno spazio una volta dedicato alla preghiera. A livello puramente visivo trovo interessante la contrapposizione tra le foto di allevamenti e mattatoi e quelle delle sfilate di moda, oltre che l’uso del buio, dello scuro come protagonista assoluto, quasi come se all’assenza di luce corrispondesse un’assenza di qualsiasi umanità, di speranza.
Speranza che, con un sospiro di sollievo, ritorna prepotente nella rassegna di Ami Vitale che in “Storie che fanno la differenza” racconta di chi ha scelto di difendere gli animali, con diverse modalità, in Cina, Stati Uniti e Kenya.

 

Seguendo il filo del rapporto uomo-animale, si arriva al reportage di Wu Jingli “Gli uomini dei cani”  dove gli uomini raffigurati non hanno proprio nulla di umano. Onestamente per me è stato difficile guardare queste fotografie, rese ancora più cupe dal bianco e nero, ossessiva dicotomia tra bene e male, lealtà e tradimento.

 

ARIQUEMES, BRAZIL – OCTOBER 19, 2017: A girl is seen in the Terra Nossa II, a poor camp of landless peasants who are occupying a public land in the state of Rondonia. Occupations produce conflicts with local ranch owners, who hire private armed guards to intimidate the landless farmers and destroy their crops. The Brazilian Rondonia state, part of the Amazon region, consistently tops the list of land conflict killings, with 15 already in 2017, according to watchdog group Comissão Pastoral da Terra. Across Brazil, the number of land killings stands at 63 from January until September this year, compared to 61 in 2016, with 49 occurring in Amazon states.

Sempre a Palazzo Barni si trova una sezione dello spazio World. Report Award di cui ho particolarmente apprezzato la serie “Terra Rossa” di Tommaso Protti, vincitrice della sezione Spot Light Award.
Il fotografo, con i suoi scatti riesce a ottenere lo scopo che si era prefissato: “L’anima di un intero mondo diventa fotografia”. Nel suo racconto per immagini, dedicato alla regione brasiliana dell’Amazzonia, trionfa ancora una volta la violenza, spesso senza senso, l’imbarbarimento di uomini che sono più ostili alla sopravvivenza del resto del genere umano della natura stessa.

 

PALONG KHALI, BANGLADESH – OCTOBER 9: Thousands of Rohingya refugees fleeing from Myanmar walk along a muddy rice field after crossing the border in Palong Khali, Cox’s Bazar, Bangladesh.
For years Buddhist majority Myanmar has struggled to deal with a deeply rooted hatred towards the Rohingya in western Rakhine state. The Muslim ethnic minority were always considered illegal immigrants from Bangladesh and denied the rights of citizenship. According to Human Rights Watch, the 1982 laws “effectively deny to the Rohingya the possibility of acquiring a nationality ”. Myanmar’s government also enforced severe restrictions on freedom of movement, state education and civil service jobs and health care. The refugee emergency unfolded in late August after an attack on state security forces by Rohingya insurgents, triggering a brutal military crackdown that has forced more than half of the country’s 1.1 million population fleeing to neighboring Bangladesh creating the fastest cross-border exodus ever witnessed with over 655,000 new arrivals. Many traumatized refugees arrived telling stories of horror alleging rape, killings and the burning of hundreds of villages, which have been well documented by the media, along with the U.N and various human rights groups.

Dolore, smisurato, apparentemente senza fine, di un intero popolo. Questo è ciò che traspare dal reportage di Paula Bronstein “Apolidi, abbandonati e indesiderati: la crisi dei Rohingya”, vincitore della sezione Master Award, che racconta di un esodo terribile, di quello che diverse organizzazioni per i diritti umani non esitano a definire un esempio di pulizia etnica che sta cambiando la geografia e la demografia di un’intera area del mondo. La storia ribadisce, come ci ha già insegnato a più riprese, la facilità con cui chi è stato oppresso può diventare oppressore.
A livello visivo ciò che accomuna i due reportage premiati è, a mio avviso, un sapiente uso della luce e delle ombre che diventano protagoniste della narrazione, aggiungendo nuovi livelli di lettura.

Dove: Lodi
Quando: ogni sabato e domenica dal 6 al 28 ottobre, dalle 9.30 alle 20
Come: biglietto intero 15 euro (valido per tutte le giornate di apertura) acquistabile solo presso la biglietteria in Piazza del Broletto
https://www.festivaldellafotografiaetica.it/
Catalogo disponibile dal 31 dicembre 2018 *