Mostra – Preraffaelliti. Amore e desiderio, Palazzo Reale, Milano

Sometimes thou seem’st not as thyself alone, But as the meaning of all things that are.
(Dante Gabriel Rossetti)

La premessa è che da sempre i Preraffaelliti mi affascinano e quindi non potevo mancare all’appuntamento a Palazzo Reale con la promessa di poter ammirare “in mostra oltre 80 capolavori” (a questo proposito è assolutamente più onesta la versione in inglese della brochure in cui si legge semplicemente “more than 80 works”). La realtà è stata, purtroppo, inferiore alle attese, soprattutto se si torna con la memoria all’esposizione torinese a Palazzo Chiablese del 2014.
Infatti, pur se è innegabile la presenza di alcuni dipinti iconici, come l’Ofelia di Millais e la Lady of Shalott di Waterhouse, oltre ad alcune opere di Rossetti, nel complesso ho avuto la sensazione di una mostra non completamente riuscita, non sufficientemente curata dal punto di vista dell’apparato critico, sin troppo scolastico, con molti schizzi e bozzetti poco contestualizzati.
L’idea di presentare i disegni preparatori è senz’altro valida se questi sono accompagnati dall’opera finale, in caso contrario, rischiano di diventare ripetitivi e di non aggiungere nulla di significativo all’esperienza di visita, se non in termini di quantità di pezzi esposti.
Sempre parlando di allestimento, ho trovato davvero molto antiquato, direi addirittura triste, il concetto del video finale, una serie di immagini tratte dal catalogo che scorrevano su uno schermo, senza alcun commento o guida alla visita da parte dei curatori.
Di contro l’aver ricreato l’effetto delle finestre di una cattedrale, o forse di un castello, in alcune delle sale ha contribuito all’immersione nella poetica preraffaellita, senza forzature. Una nota di merito va decisamente a chi si è occupato dell’illuminazione per aver adottato soluzioni che, finalmente, consentono di godere appieno dei quadri esposti, senza riflessi e ombre estranee.

Lasciando da parte gli aspetti che non mi hanno convinto, la mostra a Palazzo Reale, attraverso un’articolazione in sezioni tematiche, offre uno sguardo a tutto tondo sul movimento in generale e sull’arte dei diciotto artisti rappresentati, consentendo di cogliere tanto i temi comuni – la cosiddetta modernità medievale su tutti – che i tratti distintivi dei singoli stili, insieme agli elementi di ribellione all’estetica dominante e di rottura delle convenzioni, una nuova fedeltà alla natura nella riproduzione su tela, un gioco sapiente di luci e un ripensamento delle prospettive.
Dei Preraffaelliti amo in particolare il richiamo alla letteratura e alle storie medioevali, dunque vedere Artù o San Giorgio prendere vita nelle opere di Rossetti mi ha lasciato come sempre incantata, quasi incapace di staccare lo sguardo dalla miriade di dettagli che popolano i quadri, che riescono a essere estremamente evocativi nonostante le dimensioni contenute.

Dante Gabriel Rossetti, The Wedding of St George and Princess Sabra, 1857

Sempre restando nell’ambito delle rielaborazioni per immagini di classici letterari, uno degli ambiti in cui meglio si esprime la visione artistica dei Preraffaelliti, la vera grande sorpresa è stata Kit’s writing Lesson di Marineau che racconta una delle scene di La bottega dell’antiquario di Dickens. Credo che se fosse stato possibile fotografare i personaggi di Dickens e gli ambienti in cui si muovono, il risultato sarebbe qualcosa di molto simile a questo quadro. Un’autentica immersione nel celeberrimo romanzo a puntate.

Robert Braithwaite Martineau, Kit’s writing Lesson, 1852

Nel percorso espositivo a Milano ampio spazio è dato all’elemento femminile, in un susseguirsi di opere che ritraggono quasi sempre donne reali, anche se celate nei panni di eroine bibliche, storiche o di fantasia, si vedano le già citate Ofelia e Dama di Shalott (rispettivamente da Shakespeare e Tennyson), ma anche la giovane del quadro April Love di Hughes, che si appropriano della scena fino a divenire autentiche icone di stile – a cavallo tra l’immagine angelicata e la personificazione stessa della tentazione – non solo per i contemporanei, ma per l’intera cultura occidentale, proponendo un ideale del “bello” senza tempo.

Arthur Hughes, April Love, 1855-6

Piè di pagina
Dove: Milano, Palazzo Reale
Quando: dal 19/06/2019 al 06/10/2019. Lunedì 14.30 – 19.30; martedì – mercoledì – venerdì – domenica 09.30 – 19.30; giovedì – sabato 09.30 – 22.30. Ultimo ingresso un’ora prima.
Come: biglietto intero 14 euro.
https://www.palazzorealemilano.it/mostre/amore-e-desiderio
Per approfondire: https://www.khanacademy.org/humanities/becoming-modern/victorian-art-architecture/pre-raphaelites/a/a-beginners-guide-to-the-pre-raphaelites; catalogo*; I Preraffaelliti* ed. Taschen;


Mostra – A visual protest. The art of Banksy, Mudec, Milano

If you get tired, learn to rest, not to quit

Lasciando da parte l’ossessione sulla vera identità dell’artista, le questioni legali e sul diritto d’autore e, soprattutto, la trita domanda se i graffiti siano davvero una forma d’arte, questa mostra vale senz’altro la pena di essere visitata e sulle pareti del Mudec le opere di Banksy perdono poco o nulla della loro forza di protesta.
Il percorso espositivo permette di scoprire le diverse anime di uno degli esponenti più noti della street art – presentando dipinti, print numerati, ma anche oggetti, fotografie e video – e di scoprire i temi chiave della sua produzione. Uomini e animali, metafore e messaggi, ribellione, comunicazione, provocazione, invito all’azione: è una sorta di compendio di Banksy quello che si sussegue nelle diverse sale, senza un filo cronologico, quanto tematico all’insegna di quella convinzione, ben espressa dalla citazione da Majakovskij: che apre la visita (“Siano le strade un trionfo dell’arte per tutti”). E da cui emergono evidenti sia le sfaccettature della protesta di Banksy, contro il potere ufficiale, la guerra, il consumismo, sia la sua ironia.
Parole e immagini si fondono per trasmettere messaggi sociali e politici espliciti, ma non, come rimproverano alcuni, con una predominanza del contenuto sulla forma, quanto piuttosto in una sintesi in cui i due elementi si arricchiscono reciprocamente, trascendendo anche le barriere linguistiche.

Uno dei pregi della mostra di Milano, curata da Gianni Mercurio, è che consente di calare Banksy in una sorta di dialogo con i movimenti, le correnti e gli artisti contemporanei o che lo hanno preceduto. Quindi è quasi impossibile non porre in relazione i ritratti e i simboli di Warhol con la serialità e riproducibilità che emergono chiaramente come cifra stilistica dell’artista dall’identità ignota, così come la marcata presenza del détournement non riflette una chiara impronta situazionista.

Interessante anche la sezione speciale dedicata ai video che “racconta” i murales che Banksy ha realizzato in diversi luoghi del mondo (in qualche caso già scomparsi) e sottolinea come il luogo, inteso proprio come spazio fisico e geografico, sia un aspetto fondamentale nel suo lavoro, una chiave di lettura, oltre che una fonte di ispirazione. Senza dimenticare il documentario, a cura di Butterfly Art News appositamente realizzato in cui si spiega l’approccio dell’artista attraverso i lavori.

Ma se tutto questo non sembrasse sufficiente a giustificare una trasferta milanese, basterebbe ricordare che sono esposte anche le opere che, nel 2004, furono raccolte nella mostra Pax Britannica: A Hellish Peace alla Aquarium Gallery di Londra, sponsorizzata da Stop the War Coalition. Un’occasione unica per scoprire uno dei vessilli più riusciti per tutti coloro che credono che la guerra non possa essere uno strumento per creare la pace.

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Dove: Milano, Mudec Meseo delle Culture, – Via Tortona 56
Quando: dal 21/11/2018 al 14/04/2019. Lunedì 10.30 – 19.30; martedì – mercoledì – venerdì 09.30 – 19.30; giovedì – sabato – domenica 09.30 – 22.30. Ultimo ingresso un’ora prima.
Come: biglietto intero 14 euro.
http://www.mudec.it/ita/banksy-mudec-milano/
Per approfondire: catalogo della mostra*; Banksy. Wall and piece*; Banksy. Siete una minaccia di livello accettabile*; Cercasi Banksy disperatamente*



Wildlife Photographer of the Year – Milano (2018)

Anche quest’anno l’Associazione culturale Radicediunopercento porta a Milano, negli spazi della Fondazione Luciana Matalon, le immagini finaliste e vincitrici nelle diverse categorie del concorso fotografico indetto dal Natural Hystory Museum di Londra, giunto ormai alla 53esima edizione e che ha visto confrontarsi fotografi da ben 92 paesi.
Per il 2017 l’obiettivo, è proprio il caso di dirlo, è stato puntato sulla salvaguardia del pianeta.

Una galleria intensa e interessante, che lascia la voglia di commentare e discutere, di confrontarsi sui temi e, soprattutto, sui premi assegnati.

Per queste mie personalissime impressioni ho scelto quattro opere, non sulla base dei criteri che dichiaratamente guidano la giuria nell’assegnazione dei riconoscimenti ufficiali, ossia valore artistico (sempre opinabile), complessità tecnica (che non sono in grado di giudicare) e creatività (che a mio avviso in questo tipo di immagini spesso è frutto di una imprevedibile combinazione di pazienza e fortuna), quanto piuttosto sulle emozioni che hanno saputo suscitare. Si tratta, in qualche misura e con una sola eccezione, di quelle fotografie che vorrei poter esporre sulle pareti di casa mia.

Sewage surferIsola Sumbawa, IndonesiaUn cavalluccio marino trasporta un cotton fiocCategoria Immagine singola© Justin Hofman – Wildlife Photographer of the Year

Iniziamo dalla foto che vorrei non fosse mai stato possibile scattare, testimonianza dell’incuria dell’uomo, dell’effetto devastante delle nostre azioni sul pianeta che neppure i colori pastello riescono a mitigare.
Un pugno nello stomaco che fissa sulla carta la fragilità del mondo in cui viviamo.

Si arriva poi alla foto che vorrei tanto poter un giorno scattare anche io. L’incontro nei boschi innevati con il lupo parla alla parte più profonda di me.

E in ultimo, tra tutte, due fotografie che mi hanno affascinato, per come riescono a catturare un momento, un’emozione, a raccontare una storia con una sola immagine e che dimostrano come il bianco e nero sia una cifra stilistica che riesce a raggiungere corde più nascoste rispetto al colore.

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Dove: Milano, Fondazione Luciana Matalon, Foro Buonaparte 67
Quando: dal 5 ottobre al 9 dicembre 2018, dalle 10.30 alle 19.00 (venerdì dalle 10.00 alle 22.00), chiuso il lunedì
Come: biglietto + tessera associativa 10 euro
https://www.radicediunopercento.it/wildlife-photographer-of-the-year-2018-5-ottobre-9-dicembre/
Catalogo dell’edizione 2016, catalogo dell’edizione 2015, catalogo dell’edizione 2014. La collezione che celebra i 50 anni del premio 50 Years of Wildlife Photographer of the Year: How Wildlife Photography Became Art (Natural History Museum) e il meglio dell’edizione del 2016, Wildlife Photographer of the Year 2016: Highlights. Tutti i volumi sono in lingua inglese.

Mostra – I Castelli nell’Ora Blu, Jan Fabre, Building Gallery, Milano

“Voglio che i miei spettatori siano in grado di abbandonarsi all’esperienza fisica dell’annegamento nel mare apparentemente calmo dei miei disegni con la bic blu”
(Jan Fabre, 1988)

Quello in mostra a Milano, negli spazi di Building, è un Fabre assolutamente lontano dalle polemiche che hanno accompagnato l’esposizione delle sue opere a Firenze nel 2016.
Tralasciando le sculture dei saggi che aprono questa sua prima personale a Milano, qui siamo ben distanti dagli eccessi di alcune visioni di questo artista poliedrico, spesso discusso e controverso, ma sicuramente interessante e con una poetica personalissima e riconoscibile.

La mostra, curata da Melania Rossi, si concentra su una selezione quasi romantica dell’arte di Fabre, tutta giocata attorno a due dei suoi temi ricorrenti: i castelli e l’Ora Blu.

(Castello nell’Ora Blu, 1989, inchiostro Bic blu su carta con parti di Phyllium giganteum)

L’artista ci presenta un percorso che lo consacra, ancora una volta, come “cavaliere della disperazione e guerriero della bellezza”, perché il blu, soprattutto nelle grandi opere su carta al piano terra, produce un effetto straniante e a tratti disperato, come se si fosse improvvisamente avvolti, o piuttosto inghiottiti da un eccesso di colore che diventa un “buco blu”, in cui i contorni si perdono, mentre l’occhio, rispondendo all’immaginario dell’autore, trasforma le foglie in torri e castelli solitari.

L’Ora Blu è poco più che un attimo, un rito di passaggio che si ripete costantemente, la transizione tra notte e giorno, in cui le forme sembrano sfuggire dai loro consueti contorni per farsi altro, i colori mutano, si confondono, perdono di saturazione raffreddandosi, il tutto in un’atmosfera statica, di profondo silenzio. E proprio il silenzio che regna nelle sale di Building, che pare così lontano dalla frenesia di Via Montenapoleone che pure è dietro l’angolo, ci consente un’esperienza pienamente “immersiva”, accentuata da una cornice volutamente minimalista, dove il bianco permette di far risaltare le opere, di fare emergere il blu in tutta la sua forza.

Un allestimento nel complesso molto riuscito – e di cui ho particolarmente apprezzato la scelta di non distogliere l’attenzione dalle opere con cartellini esplicativi (viene, invece, fornito all’ingresso un pieghevole informativo che consente di seguire perfettamente il percorso espositivo) – che acquista un ruolo centrale al piano terra non appena si alzano gli occhi verso l’alto, ammirando l’installazione site specific da una prospettiva inconsueta.


(In alto: Il castello dei miei sogni in Turnhout, inchiostro Bic blu su vetro)

Salendo ai piani superiori sono ancora una volta i castelli, sotto forma di disegni, video, fotografie, a occupare il centro della scena, sempre rivisitati con il ripetuto segno della Bic blu, in piccole porzioni o su grandi superfici.
Castelli che prendono vita innanzi agli occhi del pubblico, ammantandosi di riflessi e sfumature, sempre uguali eppure sempre diversi. Luoghi fiabeschi, regni in cui lasciar correre la propria fantasia, e al contempo scrigni di bellezza, patrimonio, così come l’arte, che Jan Fabre si propone di difendere in un percorso, anzi un viaggio in cui il trascorrere del tempo si stempera in una ricerca squisitamente interiore.

Era la mia prima volta al Building e la mia prima volta a tu per tu con l’Ora Blu di Fabre e devo dire che nessuna delle due esperienze mi ha deluso.
Al prossimo appuntamento.

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Dove: Milano, Building Gallery, via Monte di Pietà 23
https://www.building-gallery.com/evento/jan-fabre/?lang=it
Quando: dal 22/09/2018 al 22/12/2018, martedì – sabato dalle 10.00 alle 19
Come: ingresso libero.
L’esposizione prosegue, sempre a Milano, presso la Basilica di Sant’Eustorgio e Cappella Portinari
in P.zza Sant’Eustorgio 1, lunedì – domenica, dalle 10.00 alle 17.30
Costo ingresso Cappella Portinari 6 EUR
Per approfondire: Jan Fabre. Stigmata. Action & Performances 1976-2013. Ediz. Illustrata , Jan Fabre. Les années de l’Heure Bleue. Dessins et sculptures, 1977-1992. Ediz. Inglese e francese, in lingua italiana Jan Fabre Ediz. Illustrata