Una sera a teatro: Atlante Linguistico della Pangea

Che cosa c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa, pur con un altro nome, avrebbe lo stesso dolce profumo. (W. Shakespeare)

I nomi non sono le cose.
“Le parole sono una fonte di malintesi”, per dirla con Antoine de Saint-Exupéry, eppure se manca una parola pe un istante ci si sente perduti, ci definiamo con le parole, anche quando rigettiamo quelle scelte da altri proprio per inquadrarci, con le parole diamo corpo ai nostri sentimenti, alle nostre emozioni, alla società e al tempo in cui viviamo, con le parole costruiamo relazioni e le distruggiamo.
In un momento storico in cui siamo stati tutti costretti a contare solo sulle parole per restare in contatto il gruppo di ricerca teatrale Sotterraneo si è concentrato sull’intraducibilità, su quelli che, nel mio corso di studi, avremmo definito realia, secondo la teoria di Sergej Vlahov e Sider Florin.
Così la serata conclusiva di Wonderland Festival è all’insegna di un gioco non di parole, ma con le parole, perfettamente messo in scena da Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati e Giulio Santolini, che ci guidano, un po’ vacanzieri della domenica un po’ novelli esploratori, in un viaggio attorno al mondo, alla scoperta di quanto può essere “lost in translation”.

Un tema molto interessante, certo, ma cosa ci fa un branco di renne sul palco?

Semplice, illustra un concetto per immagini, là dove la traduzione non basta, dove non si possono travasare segni verbali in altri segni puramente verbali. Gli attori si immergono in situazioni che sono presenti nella lingua sorgente e assenti nella cultura di arrivo, cercano di dare un’espressione all’intraducibilità culturale, ancora prima che linguistica, di creare un ponte tra il parlante e, nel nostro caso, gli spettatori.
A tratti sembra di assistere a un film muto, con gli attori che, a cavallo tra addomesticamento e straniamento, provano a creare delle vignette, didascalie visive, a trasformare in gesti e sguardi ciò che altrimenti sarebbe appunto intraducibile. E ci riescono strappando sorrisi e risate.
Tra canzoni, silenzi ed effetti lip sync, lo spettacolo si articola in una serie di quadri, collegati da elementi visivi e sonori, con l’ironia che diventa spesso chiave di lettura e se dovessi scegliere una parola tra tutte quelle che sono passate sullo schermo, probabilmente sarebbe tsundoku, che in giapponese descrive l’atto di acquisire materiale da leggere, ma lasciarlo accumulare da qualche parte nella propria casa senza leggerlo. Infatti, la pila di libri comprati e in attesa di essere letti cresce sempre di più, anzi si moltiplica e si suddivide, in piccole pile, e sono sicura che andando a cercare troverei, nascosto, proprio un volume sulle 100 parole intraducibili.

Uno spettacolo di parole e sulle parole, divertente, pieno di energia, ma in cui non manca spazio per una riflessione sul futuro, sulle conseguenze del cammino che il mondo pare avere intrapreso, in cui le parole stanno apparentemente perdendo il loro peso, in cui la voce dell’ultima testimone di un idioma già tecnicamente estinto lascia intuire tutta la tragedia della progressiva scomparsa delle lingue cosiddette minori.

Per concludere, salutando gli attori che ci guardano uscire, vorremmo trovare una parola dolce-amara, capace di trasmettere quel filo di tristezza per un percorso che si conclude e al contempo la gioia per esserne stati partecipi, già curiosi di scoprire cosa ci aspetterà nella prossima edizione di Wonderland Festival.

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Atlante Linguistico della Pangea
concept e regia Sotterraneo
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
scrittura Daniele Villa
Dove: Spazio teatro IDRA, Festival Wonderland 2021