Il viaggio verso Alci (o Alchi), nel cassone aperto di un furgone, con l’aria e la polvere che sbattono sulla faccia, ci porta prima in discesa, lungo una gola profonda fino all’autostrada, poi di nuovo in salita, in un passaggio arido, fino ad arrivare al Gompa, l’unico in tutto il Ladakh edificato su un terreno piano.
Lungo il percorso il nostro mezzo arranca, si ferma più volte e bisogna spingerlo per farlo ripartire e salire in corsa, ma la bellezza dei paesaggi ripaga ampiamente di qualche scomodità, così come l’ottimo pasto sulla terrazza di Alchi Kitchen dove gustiamo, oltre alla pasta fatta in casa, un indimenticabile tè con albicocche e noci che entra subito di diritto nella mia personale classifica delle migliori “bevande in viaggio” (e sì, ovviamente ne scriverò qui prossimamente).
La via obbligata che porta all’ingresso del complesso monasteriale è costellata da bancarelle che propongono prodotti “artigianali” di ogni genere, ma non ci lasciamo distrarre troppo, impazienti di visitare quella che viene definita una delle massime espressioni di arte indo-tibetana del Ladakh, un monastero completamente diverso da tutto ciò che abbiamo incontrato finora in questo angolo di India. Sicuramente è, insieme a Hemis e Tikse, uno dei luoghi più frequentati dai turisti che, però, si disperdono tra i vari edifici, consentendo una visita tranquilla, quasi raccolta degli interni.
Decidiamo come prima cosa di seguire una stradina laterale scendendo sino a toccare le rive del fiume Indu, accompagnati dal suono delle ruote di preghiera che girano senza sosta.
Risaliamo ai templi, che ospitano alcune delle pitture murali più antiche, nei diversi chorten da visitare con il naso all’insù, ma sempre facendo ben attenzione alla testa considerando l’altezza (o forse meglio bassezza) delle porte.
Il Sumtsek, con la sua struttura a tre piani e un portale/porticato intagliato in legno è uno spettacolo per gli occhi – un “universo miniato e simbolico in cui l’iconografia del buddhismo tantrico tibetano si sposa a stilemi e motivi tipicamente kashmiri” – non somiglia a nessuno degli altri luoghi di culto che abbiamo visto in Ladakh, ma sono forse gli altri templi “minori” a regalare un’emozione più profonda, con i gradini d’entrata rovinati da migliaia di passi, le pitture murali a tratti sbiadite a testimonianza del trascorrere del tempo, inarrestabile anche in questi luoghi dove, invece, pare quasi di poterlo fermare, le immancabili offerte, i giardini in fiore in cui sono i gatti dei monaci a farla da padrone, richiedendo con decisi miagolii la giusta considerazione da parte dei visitatori di passaggio.
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Del monastero di Alchi e di molti altri scrive Enrico Guala in Ladakh & Zanskar. Guida illustrata, ed. La Memoria del Mondo, 2018. Un volume agile e utile per scoprire cosa non perdere in un tour per i monasteri della regione (che però avrebbe avuto bisogno di una buona rilettura prima di essere pubblicato!)
Per scoprire tutti i segreti del monastero in 288 pagine, Adelphi propone Alci. Il santuario buddhista nascosto del Ladakh. Il Sumtsek.