“Un guanto precipitò da una mano desiderata
A toccare il pavimento del mondo in una pista affollata.
Un gentiluomo, un infedele lo seguì con lo sguardo.
E stava quasi per raggiungerlo, ma già troppo in ritardo,
E stava quasi per raggiungerlo, ma troppo in ritardo.” (Francesco De Gregori)

Tutto nasce da una locandina che mi incuriosisce o forse dovremmo dire che tutto nasce molto prima, da un guanto, nel lontano 1878 quando Max Klinger realizzò, inizialmente a penna, quello che era destinato a diventare il suo ciclo più famoso, Un guanto appunto, che oggi si può ammirare a Brescia, insieme ad altre opere dello stesso autore e ad alcuni omaggi di artisti coevi e non a colui che Giorgio De Chirico definì “artista moderno per eccellenza”.
Le serie di stampe composta da Klinger è una sorta di partitura, in dieci diversi atti (incisioni) e quale sede migliore per goderne appieno se non le sale della Galleria dell’Incisione, dove l’amore per l’arte, lo si percepisce sin dall’ingresso, va di pari passo con l’amore per la musica, con quei pianoforti che paiono aspettare solo una mano che li suoni, e per il “bello” in tutte le sue espressioni.
La storia di quel guanto perduto o, forse lasciato cadere proprio affinché fosse raccolto, si sviluppa sotto gli occhi del pubblico, come una pièce teatrale.
Simboli che si intrecciano, si svelano e si nascondono in un tratto talvolta deciso, talvolta quasi solo accennato, passando dalla realtà mondana di una pista di pattinaggio a Berlino a una camera da letto in cui le pareti scompaiono per lasciare spazio a un lussureggiante giardino, fino al mare per poi tornare in quella stessa camera da letto che diventa però luogo da incubo, angoscioso, abitato da mostri preistorici.

Sublimazioni erotiche e allegorie, visioni oniriche. Arriviamo così, in crescendo, al gran finale, che però lascia aperte tutte le domande.
Si è trattato solo di un sogno da interpretare, magari prendendo a prestito le teorie freudiane con il guanto che da mero feticcio si trasforma in un oggetto animato.
L’artista lascia comunque a ciascuno la scelta se calarsi nella storia nei panni del protagonista o osservarla con distacco dall’esterno, ma anche il compito di risolvere l’enigma e, almeno nel mio caso, il piacere di ritornare sulle singole opere alla ricerca di indizi, per coglierne i più piccoli dettagli.
Il desiderio di avvicinarsi alle opere, per decifrare le atmosfere surreali, inquietanti, a cavallo tra deliri onirici e linguaggio simbolico resta forte di fronte alle tavole che compongono la serie Eva e il futuro – Opus III, sei incisioni a cavallo tra racconto biblico e visioni di un futuro distopico in cui domina la paura.

Klinger, tuttavia, non fu solo un “poeta figurativo”, come dimostrano le tre tavole intitolate Madre, in acquaforte e acquatinta, dove l’artista racconta una storia vera, un dramma dal tragico epilogo, con il piglio di un cronista di cronaca nera.
L’influenza di Klinger su artisti simbolisti o espressionisti, è nota, così come sul già citato De Chirico e sul movimento surrealista, ma oggi, un secolo dopo la sua morte, la mostra Max Klinger. L’enigma romantico ci ricorda come a Klinger continuino a guardare, per rileggerlo e reinterpretarlo, pittori, illustratori e scultori più vicini a noi, nello spazio e nel tempo.
In questo dialogo, che rappresenta uno dei punti forti dell’interessante e particolare allestimento passiamo così, tra gli altri, dai Guanti abbandonati in ceramica di Livio Scarpella…

al Guanto gatto di Franco Matticchio.

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Dove: Galleria dell’Incisione, via Bezzecca 4
Quando: fino al 28 febbraio 2021, tutti i giorni escluso il lunedì dalle 17.00 alle 20.00
Come: ingresso libero
Per approfondire: www.incisione.com/max-klinger-un-guanto; www.incisione.com/opere/max-klinger-eva-e-il-futuro-opus-iii-cartella-completa; Max Klinger “L’incanto della vita. Pensieri sull’arte”*; Catalogo Max Klinger. Ferrara – Palazzo dei Diamanti. 17 marzo 1996 – 16 Giugno 1996*; Graphic Works of Max Klinger (Dover Fine Art, History of Art) (English Edition) in formato Kindle*; “Max Klinger” a cura dell’editore Silvana*.
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