Una domenica d’ottobre soleggiata trascorsa a Lodi per visitare il Festival della Fotografia Etica, prendendosi il tempo per passeggiare nel bel centro cittadino e soprattutto per scoprire le diverse mostre che compongono il festival.
“Quando la fotografia parla alle coscienze”, questo è il sottotitolo della manifestazione, giunta ormai alla sua nona edizione e, spero davvero, destinata a una vita ancora molto molto lunga.
In questo grande contenitore di immagini, legate da alcuni fili conduttori, mi sono volutamente persa, lasciandomi avvolgere e coinvolgere dalle fotografie esposte, uscendo dalla mia comfort zone perché non c’è miglior mezzo che vedere per comprendere, per gettare qualche spiraglio di luce su mondi spesso lontani, a tratti spaventosi proprio perché sconosciuti.

Within an intensive breeding for caimans.
An operator performs the cuts on the skin of a caiman just shot down.
This delicate process takes place in several steps. The alligators are killed by a cut on her neck made by hand with a knife, the killing is done by a specific operator, responsible only to this task.
Come primo assaggio le tre mostre ospitate nello Spazio tematico nell’ex chiesa di San Cristoforo, lasciano subito intendere il tono della giornata. Con “Il prezzo della vanità” Paolo Marchetti colpisce il pubblico allo stomaco, con fotografie forti, disturbanti, difficili da guardare per quel loro ritrarre l’inutile violenza dell’uomo sugli animali che sembra ancora più inumana inserita in uno spazio una volta dedicato alla preghiera. A livello puramente visivo trovo interessante la contrapposizione tra le foto di allevamenti e mattatoi e quelle delle sfilate di moda, oltre che l’uso del buio, dello scuro come protagonista assoluto, quasi come se all’assenza di luce corrispondesse un’assenza di qualsiasi umanità, di speranza.
Speranza che, con un sospiro di sollievo, ritorna prepotente nella rassegna di Ami Vitale che in “Storie che fanno la differenza” racconta di chi ha scelto di difendere gli animali, con diverse modalità, in Cina, Stati Uniti e Kenya.
Seguendo il filo del rapporto uomo-animale, si arriva al reportage di Wu Jingli “Gli uomini dei cani” dove gli uomini raffigurati non hanno proprio nulla di umano. Onestamente per me è stato difficile guardare queste fotografie, rese ancora più cupe dal bianco e nero, ossessiva dicotomia tra bene e male, lealtà e tradimento.

Sempre a Palazzo Barni si trova una sezione dello spazio World. Report Award di cui ho particolarmente apprezzato la serie “Terra Rossa” di Tommaso Protti, vincitrice della sezione Spot Light Award.
Il fotografo, con i suoi scatti riesce a ottenere lo scopo che si era prefissato: “L’anima di un intero mondo diventa fotografia”. Nel suo racconto per immagini, dedicato alla regione brasiliana dell’Amazzonia, trionfa ancora una volta la violenza, spesso senza senso, l’imbarbarimento di uomini che sono più ostili alla sopravvivenza del resto del genere umano della natura stessa.

For years Buddhist majority Myanmar has struggled to deal with a deeply rooted hatred towards the Rohingya in western Rakhine state. The Muslim ethnic minority were always considered illegal immigrants from Bangladesh and denied the rights of citizenship. According to Human Rights Watch, the 1982 laws “effectively deny to the Rohingya the possibility of acquiring a nationality . Myanmars government also enforced severe restrictions on freedom of movement, state education and civil service jobs and health care. The refugee emergency unfolded in late August after an attack on state security forces by Rohingya insurgents, triggering a brutal military crackdown that has forced more than half of the countrys 1.1 million population fleeing to neighboring Bangladesh creating the fastest cross-border exodus ever witnessed with over 655,000 new arrivals. Many traumatized refugees arrived telling stories of horror alleging rape, killings and the burning of hundreds of villages, which have been well documented by the media, along with the U.N and various human rights groups.
Dolore, smisurato, apparentemente senza fine, di un intero popolo. Questo è ciò che traspare dal reportage di Paula Bronstein “Apolidi, abbandonati e indesiderati: la crisi dei Rohingya”, vincitore della sezione Master Award, che racconta di un esodo terribile, di quello che diverse organizzazioni per i diritti umani non esitano a definire un esempio di pulizia etnica che sta cambiando la geografia e la demografia di un’intera area del mondo. La storia ribadisce, come ci ha già insegnato a più riprese, la facilità con cui chi è stato oppresso può diventare oppressore.
A livello visivo ciò che accomuna i due reportage premiati è, a mio avviso, un sapiente uso della luce e delle ombre che diventano protagoniste della narrazione, aggiungendo nuovi livelli di lettura.
Dove: Lodi
Quando: ogni sabato e domenica dal 6 al 28 ottobre, dalle 9.30 alle 20
Come: biglietto intero 15 euro (valido per tutte le giornate di apertura) acquistabile solo presso la biglietteria in Piazza del Broletto
https://www.festivaldellafotografiaetica.it/
Catalogo disponibile dal 31 dicembre 2018 *