Ladakh – Hemis

Hemis è il primo monastero che visitiamo nel viaggio in Ladakh ed è probabilmente uno dei più famosi della regione, grazie soprattutto al festival che si tiene ogni anno, il 10° giorno del mese lunare tibetano (Tse-Chu), per celebrare l’anniversario della nascita di Guru Padmasambhava, o Guru Rimpoche, leader spirituale e fondatore del buddismo tantrico del Tibet, oltre che, in senso lato, la vittoria del bene sul male.
Percorriamo molto lentamente i circa 45 chilometri che separano Leh da Hemis, rallentati a più riprese dai convogli militari che si muovono quasi incessantemente lungo le strade, sollevando nuvole di polvere. E poi finalmente arriviamo in questo sensazionale Gompa che risale alla prima metà del 1600 e fa capo alla scuola dei monaci Drupka, i cosiddetti “berretti rossi” di cui sentiremo molto parlare nei giorni seguenti.
È arrivato il momento dei primi scatti per immortalare l’ingresso al complesso, con le decorazioni che si stagliano contro il cielo azzurro e il verde degli alberi, e l’eremo che si erge in lontananza, scavato nella roccia.

La ricchezza dell’accesso non prepara, tuttavia, alla sorpresa dell’ampio cortile interno, dove al bianco delle strutture principali si contrappongono i particolari lignei policromi del porticato verso cui si muove un monaco solitario.

Da questa immagine prende definitivamente forma il concetto del mio blog, perché non vi è nulla di casuale nel passo del monaco e neppure nella direzione dei miei viaggi.

Di fronte al porticato, salendo la scalinata e dopo essersi tolti le scarpe (un gesto questo che diventerà ben presto abituale) si accede alla sala di preghiera dove incontriamo i primi monaci raccolti in preghiera.

Ci muoviamo piano – anche perché l’altitudine si fa sentire o forse semplicemente rispecchiando i movimenti misurati dei monaci – prendendoci il tempo per ammirare le statue, le pitture murali e gli stupa con le offerte, ma anche per cogliere appieno la magia dei mantra con il loro effetto pacificatore. Ciò che conta è il qui, l’adesso, pare di riuscire a dare forma alla sensazione del tempo che fluisce.

Dopo questa pausa rigenerante visitiamo l’interessante museo, che conserva testi antichi e oggetti sacri preziosi, prima di ripartire, per raggiungere nuove mete, per scoprire nuove prospettive. Ci riproponiamo di ritornare nel 2028, in occasione dell’esposizione – come accade ogni dodici anni – del famoso thangka di Hemis, un rotolo dipinto che ci dicono essere alto almeno due piani e tempestato di perle.

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Ingresso: a pagamento
Del monastero di Hemis scrive Enrico Guala in Ladakh & Zanskar. Guida illustrata  già menzionato nel post su Alchi . Per un approfondimento sul buddismo in Ladakh l’opera di riferimento, in lingua inglese, è A Journey in Ladakh: Encounters with Buddhism di Andrew Harvey.

Ladakh – Basgo (Bazgo)

Un sito stupendo che per qualche motivo le mappe si rifiutano spesso di riportare, raggiungibile spostandosi ad ovest di Leh, per circa 40 chilometri sulla strada che porta a Srinagar.

Arriviamo ai piedi della collina di mattina presto, prima dell’arrivo degli altri sparuti visitatori, e ciò che colpisce innanzitutto è silenzio in tutta la vallata, con i colori delle rocce, il bianco degli edifici e il verde degli alberi che si stagliano contro quel cielo azzurro, dalle nuvole in corsa che ci ha accompagnato per gran parte del viaggio.

Ci godiamo la pace di questo complesso, che ospita anche le rovine della cittadella e di un palazzo, testimonianze del glorioso passato, politico e culturale, di quella che fu la capitale di uno dei regni ladakhi, capace di resistere a un lungo assedio nel diciassettesimo secolo, prima che le strutture in mattoni crudi cedessero al trascorrere del tempo.

Esploriamo ogni stanza, ammiriamo le pitture murali, parzialmente riportate all’antico splendore grazie al contributo dell’Unesco per il restauro, spiamo da ogni apertura nelle mura che lascia intravedere stupendi panorami e facciamo la conoscenza approfondita di una delle figure chiave di questo viaggio, alla scoperta del buddismo dell’India del Nord. Ci troviamo nel Chamba Lhakhang, uno dei tre templi del gompa, dove si ammira una statua alta due piani che si erge verso uno splendido soffitto ornato di decorazioni floreali. È Maitreya. “Maitreya sarà il prossimo Buddha, successore di Gautama Buddha, la cui rinascita è attesa dai buddhisti” ci spiega il custode.


Nel corso del nostro percorso scopriremo come la profezia sulla venuta di Maitreya si ritrovi in tutte le tradizioni buddhiste, anche se con accenti diversi. Certo è che molti dei fedeli con cui abbiamo parlato ritengono che sarà l’ultimo Buddha a comparire sulla Terra e otterrà l’illuminazione completa, un condottiero di uomini destinato a governare sul mondo e sul cosmo, pur restando il Buddha della benevolenza e della compassione.

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Ingresso: circa 30 rupie per ciascun tempio
Sui lavori di restauro del complesso di Basgo con il contributo dell’Unesco (in inglese): https://www.wmf.org/sites/default/files/article/pdfs/Basgo%20Context%20article%202011.pdf

Ladakh – Alchi

 Il viaggio verso Alci (o Alchi), nel cassone aperto di un furgone, con l’aria e la polvere che sbattono sulla faccia, ci porta prima in discesa, lungo una gola profonda fino all’autostrada, poi di nuovo in salita, in un passaggio arido, fino ad arrivare al Gompa, l’unico in tutto il Ladakh edificato su un terreno piano.
Lungo il percorso il nostro mezzo arranca, si ferma più volte e bisogna spingerlo per farlo ripartire e salire in corsa, ma la bellezza dei paesaggi ripaga ampiamente di qualche scomodità, così come l’ottimo pasto sulla terrazza di Alchi Kitchen dove gustiamo, oltre alla pasta fatta in casa, un indimenticabile tè con albicocche e noci che entra subito di diritto nella mia personale classifica delle migliori “bevande in viaggio” (e sì, ovviamente ne scriverò qui prossimamente).
La via obbligata che porta all’ingresso del complesso monasteriale è costellata da bancarelle che propongono prodotti “artigianali” di ogni genere, ma non ci lasciamo distrarre troppo, impazienti di visitare quella che viene definita una delle massime espressioni di arte indo-tibetana del Ladakh, un monastero completamente diverso da tutto ciò che abbiamo incontrato finora in questo angolo di India. Sicuramente è, insieme a Hemis e Tikse, uno dei luoghi più frequentati dai turisti che, però, si disperdono tra i vari edifici, consentendo una visita tranquilla, quasi raccolta degli interni.
Decidiamo come prima cosa di seguire una stradina laterale scendendo sino a toccare le rive del fiume Indu, accompagnati dal suono delle ruote di preghiera che girano senza sosta.

Risaliamo ai templi, che ospitano alcune delle pitture murali più antiche, nei diversi chorten da visitare con il naso all’insù, ma sempre facendo ben attenzione alla testa considerando l’altezza (o forse meglio bassezza) delle porte.

Il Sumtsek, con la sua struttura a tre piani e un portale/porticato intagliato in legno è uno spettacolo per gli occhi – un “universo miniato e simbolico in cui l’iconografia del buddhismo tantrico tibetano si sposa a stilemi e motivi tipicamente kashmiri” – non somiglia a nessuno degli altri luoghi di culto che abbiamo visto in Ladakh, ma sono forse gli altri templi “minori” a regalare un’emozione più profonda, con i gradini d’entrata rovinati da migliaia di passi, le pitture murali a tratti sbiadite a testimonianza del trascorrere del tempo, inarrestabile anche in questi luoghi dove, invece, pare quasi di poterlo fermare, le immancabili offerte, i giardini in fiore in cui sono i gatti dei monaci a farla da padrone, richiedendo con decisi miagolii la giusta considerazione da parte dei visitatori di passaggio.

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Del monastero di Alchi e di molti altri scrive Enrico Guala in Ladakh & Zanskar. Guida illustrata, ed. La Memoria del Mondo, 2018. Un volume agile e utile per scoprire cosa non perdere in un tour per i monasteri della regione (che però avrebbe avuto bisogno di una buona rilettura prima di essere pubblicato!)
Per scoprire tutti i segreti del monastero in 288 pagine, Adelphi propone Alci. Il santuario buddhista nascosto del Ladakh. Il Sumtsek. 

Ladakh – Horn Please!

In India, il sistema stradale appare caotico agli occhi dei viaggiatori, la sensazione è di non poter sopravvivere al traffico, alla miriade di mezzi di trasporto di qualsiasi tipo che si riversano sulle strade, tanto nelle metropoli che nelle piccole città.
Ma ciò che resta più impresso, spostandosi da un luogo all’altro, è probabilmente il rumore, il suono incessante dei clacson che non si interrompe mai.
Si suona per segnalare la propria presenza, per spingere mucche ed altri animali a spostarsi dalla carreggiata, per mettere fretta ai pedoni agli incroci, per sorpassare, ma anche per far passare, insomma si suona sempre, continuamente, ma con convinzione se non con entusiasmo, tanto da far pensare che le scuole guida prevedano corsi appositi.
E poi ti ritrovi improvvisamente in un’India diversa, in montagna, con la macchina che arranca sulla carrozzabile più alta del mondo e sei circondato dal silenzio, quando invece ti aspetteresti di sentirlo il suono del clacson, al di là di una curva cieca, di un crinale, di uno spuntone di roccia che ostruisce la visuale. E così l’incontro con i bestioni della strada è spesso inatteso e, qualche volta, sin troppo ravvicinato, quando si è stretti tra il fianco del monte e il burrone. Ma l’espressione del nostro autista non tradisce mai alcun segno di nervosismo e nella ricerca della foto perfetta, tra i tornanti che si aprono per lasciare intravedere paesaggi incantati, anche i camion diventano protagonisti di una giocosa caccia per vedere chi riesce a cogliere il cartello più improbabile, la prospettiva più suggestiva, l’autocarro più colorato.

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Cieli


Agosto 2018.
Cieli così azzurri e mutevoli, con le nuvole in corsa, che vigilano su distese di nulla li ho incontrati solo in Mongolia. Non un déjà-vu, perché in Ladakh niente è piatto per chilometri, ma il ripresentarsi di sensazioni indimenticate e indimenticabili, richiamate anche dalla quasi totale assenza di umidità che falsa le prospettive, rendendo tutto più vicino e lontano allo stesso tempo.

Allungare una mano e poter toccare un ghiacciaio, in realtà molto distante, oppure vedere un lago salato all’orizzonte, immaginarlo quasi irraggiungibile e camminare sulle sue rive dopo pochi minuti. Quando gli occhi ingannano l’unica misura dello spazio diventano i passi.